giovedì 28 marzo 2013

Critica alla teoria del signoraggio bancario - parte prima - definizioni

In generale preferisco criticare le teorie nel loro merito anziché liquidarle parlando di paranoia o complottismo. Almeno finché l'interlocutore lo rende possibile. E, dato che sono il monarca assoluto di questo spazio, qui è possibile. Ci vorranno diversi post e come di consueto inizierò con le definizioni che occuperanno i primi due post.

Va premesso che si tratta di definizioni abbastanza banali per chi ha studiato economia, eppure la cosa va fatta. Spesso si utilizzano termini dando per scontato il loro significato, si fanno ragionamenti e si traggono conclusioni, senza accorgersi che ad un approfondimento un minimo sotto la superficie le basi sulle quali appoggiano quelle conclusioni non supererebbero la prova del socratico τί ἔστι - la domanda "che cos'è?".

Insomma bisogna mettersi preventivamente d'accordo sul significato dei termini. Tutto questo mi costringe ad essere banale e divulgativo, ma è anche un bene perché mi aiuterà a raccogliere le idee. Inziamo perciò a definire terra, lavoro, merce e denaro.


1) Terra:

E' l'origine delle risorse naturali dalle quali dipendiamo per la nostra sopravvivenza e, in un'accezione più ampia, per il nostro benessere. Non esiste bene o servizio che possa essere prodotto senza una qualche risorsa riconducibile alla terra.

In passato quando le nostre economie erano agricole il concetto era più chiaro. Oggi capita meno di frequente di aver a che fare coi prodotti immediati della terra, ma se ti concentri li vedi tutto intorno a te: la plastica e il rame che compongono la tua tastiera provengono dai giacimenti di petrolio e dai minerali di malachite. La corrente elettrica che illumina il tuo monitor non esisterebbe senza la centrale idroelettrica eretta su un corso d'acqua che passa su un territorio controllato da qualcuno.

La terra quindi - nell'accezione che le daremo qui - significa "avere accesso alle risorse primarie", cioè poter utilizzare le risorse vegetali, animali o minerali che la terra mette a disposizione.


2) Il lavoro:

L'attività umana fisica e mentale volta a trasformare l'ambiente naturale o sociale. In questo suo significato ampio il lavoro non è altro che la stessa vita materiale dell'uomo. Il lavoro cioè è l'uomo. A noi però interessa in un significato (forse solo leggermente) più ristretto, più economico. Il lavoro è l'attività umana volta a trasformare le risorse naturali grezze in qualcosa di utilizzabile.

Il mio professore di economia dei trasporti diceva sempre: "sapete quando una mela non è una mela? Quando la mela si trova a Roma e chi la deve mangiare a New York". Intendeva con questo sottolineare l'importanza del trasporto delle merci. Ma una mela non è una mela anche quando si trova ancora appesa all'albero: è il lavoro necessario per raccoglierla dall'albero che la rende una mela.

Non esiste prodotto senza lavoro. Dato che più sopra ho definito il lavoro come la vita stessa dell'uomo, esiste un legame forte tra l'uomo e il prodotto del proprio lavoro. Il frutto del tuo lavoro ti rappresenta in quanto essere umano. Quando ricevi riconoscimenti per ciò che fai, li stai ricevendo per ciò che sei.

Ma proprio per questa ragione, se, anziché ricevere riconoscimenti, il frutto del tuo lavoro ti viene tolto con la forza, o quando vieni denigrato per il fatto che svolgi lavori umili, vivi una condizione assai penosa: quella di un uomo che odia ciò che produce. Cioè un uomo che odia il proprio lavoro. Cioè ancora: un uomo che odia la sua stessa essenza. E' per questo, e non tanto o non solo per la mancanza di libertà, che la schiavitù è una tragedia.

Abbiamo definito il lavoro come "attività". Il termine stesso suggerisce un qualcosa di fluido, inafferrabile. Il lavoro è vivo perché non esiste vita umana senza il fare. In quanto tale, o il lavoro è svolto, o non esiste. Il lavoro come atività non può essere accumulato per domani: se per 2 giorni non lavoro, la terza giornata non mi si allungherà di 48 ore.

Il che suggerisce che il lavoro vivo è in qualche modo in relazione col tempo: il numero delle mele che raccolgo in un'ora è in qualche modo importante perché, quando passa, quell'ora è persa per sempre. Il prodotto - le mele - quelle sì sono accumulabili per il futuro. Ma è un'altra cosa. Ci torneremo.


3) Merce:

E' il risultato dell'applicazione del lavoro alle risorse della terra. In questa sede non ci interessa distinguere tra beni durevoli e beni di consumo. Sulla distinzione tra beni e servizi invece ci torneremo più avanti.

La merce è ciò che consolida il lavoro vivo in un oggetto: è attraverso l'accumulazione della merce che diventa possibile accumulare il lavoro svolto. O, detta in altro modo, il lavoro si può accumulare solo quando non è più vivo. Il lavoro così accantonato più essere scambiato con il prodotto del lavoro di altri individui. Oppure può essere donato, distrutto, confiscato, rapinato, estorto, usato come materia prima per ulteriori produzioni.

Ogni merce ha delle caratteristiche oggettive che in qualche modo dipendono dal bisogno che quella merce soddisfa. Inoltre produrre ciascun tipo di merce richiede un certo sforzo e un certo tempo. Il lavoro umano necessario a produrre una certa merce può essere più o meno complesso e faticoso: coltivare il grano richiede la preparazione e la manutenzione del terreno, il reperimento dei semi, e spesso anche l'irrigazione e la protezione della pianta per un certo numero di mesi. Produrre un software richiede il tempo necessario ad analizzarlo, a scrivere e testare il codice. Ma è necessario anche avere un computer, la cui fabbricazione a sua volta richiede lavoro. E' anche necessario avere la corrente elettrica, e potremmo quantificare la "quota" di centrale elettrica necessaria a far funzionare il computer del programmatore, il lavoro necessario ad estrarre il carbon fossile per alimentare la centrale...

Diversamente da ciò che alcune teorie contemporanee sulla "produzione intellettuale" sostengono, scrivere un software richiede un lavoro che nel suo insieme (partendo dalla materia grezza) è immensamente più complesso, lungo e faticoso di quello necessario a coltivare un campo di grano. Anche se il software fosse pronto dopo soli 60 minuti contro i sei mesi che servono al grano a maturare. Chiusa la digressione, ma ci tornerà utile.

I più acuti avranno già capito che attraverso il baratto si scambiano le quantità di lavoro che sono servite a produrre le merci barattate. E tutti sanno che il valore di una merce aumenta o diminuisce a seconda dell'aumento o della diminuzione della sua domanda in rapporto all'offerta. Il rapporto di scambio tra le merci, comunque si stabilisca, non è altro che il rapporto di scambio tra due "lavori".  

E' attraverso il valore di scambio delle cose che produci che la collettività esprime concretamente il suo grado di apprezzamento per il tuo lavoro.


4) Il denaro:

Il denaro è il mediatore universale degli scambi. E una merce particolare che definisce il valore di tutte le altre merci ed è scambiabile con altre merci o con il lavoro vivente in qualunque momento.

Sì... capisco che il fatto che il denaro sia una merce non ti torna così istintivo... Prova però a pensare a com'è nato... Prova a pensare a ciò che nella storia umana si è usato come denaro. Abbiamo usato monete di diverso genere, certo, ma si sono usati capi di bestiame, pelli animali, grani di sale, tabacco. Quelli della mia generazione ricorderanno i gettoni dei telefoni pubblici...

Tutte merci. Cioè beni che vengono prodotti col lavoro umano. Il denaro è merce anche nel mondo moderno. Gli assegnati della rivoluzione francese rappresentavano appezzamenti di terreno. La Germania tra le due guerre - mi pare di ricordare da vecchie lezioni di storia economica - per uscire dalla crisi mise il proprio prodotto nazionale lordo (cioè l'insieme delle merci prodotte) a copertura delle banconote emesse. In altre parole assegnati francesi e banconote di Weimar rappresentavano, anzi erano, merce.

Lo scrittore Walter Siti un articolo molto bello (credo sia un brano del suo romanzo) sostiene che in un determinato ambiente persino la merce-escort è un "mediatore universale", cioè una escort è denaro... Nel mio piccolo ho mosso qualche critica a questa posizione di Siti (per la escort manca una reale universalità della mediazione), ma mi serve citarla per far capire che qualunque merce può diventare denaro se si innalza al rango di mediatore universale degli scambi. E per essere tale, il denaro deve essere accettato da tutti, cioè "avere corso".

Cominciamo perciò a mettere il primo paletto. Il denaro non è ciò che viene definito tale da uno stato o da un re. Non è come Lando Buzzanca nel film "quando le donne persero la coda" che raccoglie un sasso e dice che il suo sasso è "sghé" mentre quello raccolto dagli altri è solo un sasso...: abbiamo avuto il denaro quando ancora non sapevamo nemmeno cosa fosse, lo stato.

Lo stato non crea il denaro. Nessuno stato. Come nessuno stato crea il petrolio. Lo stato semmai ufficializza e regolamenta l'uso di una merce che nel suo territorio è già considerato mediatore universale. Insomma c'è un carro, ci sono dei buoi, e i buoi andrebbero messi davanti.

Ma c'è anche una seconda funzione del denaro. Dato che il denaro è una merce universale, e dato che ogni merce rappresenta in forma consolidata ("reificata") il lavoro necessario a produrla, allora il denaro nelle mie tasche stabilisce a quanta parte del lavoro svolto dalla collettività io abbia diritto.

Quando mostro 5 euro al verduraio, gli sto dicendo di avere diritto a un valore-lavoro equivalente a quei 5 euro: il valore del lavoro che a suo tempo è stato necessario per produrre due chili di arance e portarle sul suo bancone.

In questa sua seconda funzione il denaro diventa una relazione sociale di tipo comunicativo. Un "protocollo di comunicazione sociale". Anzi, per Mc Luhan il denaro è semplicemente un medium: quando nel seicento in giappone si diffuse l'uso del denaro "ebbe effetti simili a quelli della tipografia in occidente".

Con questo concludiamo la prima parte. Nella prossima definirò salario, profitto, rendita, prestito e interessi. Roba così.

mercoledì 6 marzo 2013

Storia immaginaria di due famiglie

Ovvero una bozza di modello comportamentale.  Abbiamo due famiglie che chiamiamo A e B, composte da genitori e figli (non importa quanti).

La famiglia A ha un'immensa quantità di capitale accumulato da generazioni, ma non sa fare nulla, oppure non vuole fare nulla.

La famiglia B non ha capitale, vive alla giornata, ma è in grado di produrre un bene che per entrambe le famiglie è di vitale importanza. In realtà un pignolo potrebbe sostenere che proprio questa capacità dei B rappresenta del capitale... E' vero, ma tralasciamo per semplicità questa cosa.

Le due famiglie sono in relazione solo tra di loro e con nessun altro. E' ovvio che gli A pagano i B per comprare quantità di prodotto che i B producono. I più attenti avranno notato che - nel lungo termine - la posizione dei B è molto più solida di quella degli A: se i B si tenessero il prodotto potrebbero sopravvivere, mentre il capitale degli A non serve a nulla se i B si rifiutano di consegnargli il prodotto.

Ci sono tre possibilità di relazione tra A e B (e ovviamente le ampie zone grigie intermedie):


1) A costringe B a produrre quantità crescenti di prodotto in modo da riavere indietro - a fine ciclo - i soldi coi quali ha pagato il ciclo produttivo stesso. Ad esempio A paga a B il valore per 100 unità di prodotto ma si fa consegnare 101 unità. In questo modo il capitale di A non finirà mai finché A avrà possibilità di tenere in piedi il sistema coercitivo.

Ovviamente se A è in grado di operare coercizione su B non si limiterà a una sola unità in più: il capitale "sussumerà" l'intero lavoro dei B lascerà solo una quantità di prodotto sufficiente alla  sopravvivenza della forza lavoro.

Chiameremo questo tipo di rapporto "imperialista", o "schiavista". In effetti il lavoro salariato, quando il salario è di mera sussistenza, non è molto diverso da quello schiavista. Se non siete convinti faccio parlare Marlon Brando al posto mio.


2) A non ha la forza di costringere B il quale chiede quantità crescenti di capitale in cambio del prodotto. Inoltre A non ha alcuna intenzione a mettersi a lavorare in proprio. Il rapporto è caratterizzato da una presenza molto radicata odio e di revanscismo tra le due famiglie, e la conflittualità domina anche i rapporti interni. Chiameremo questo tipo di rapporto "emancipazione", o "lotta anti-imperialista".


3) A non ha la forza di costringere B, ma decide di imparare a produrre la quantità necessaria del prodotto in proprio.


Vediamo di analizzare gli effetti etici, psicologici, o diciamo "spirituali" dei tre rapporti.

Nella relazione schiavista gli A sono costretti a giustificare a se stessi il fatto di essere dei mantenuti. Dovranno cioè sublimare e rimuovere la vera natura di rapina di quel rapporto con giustificazioni metafisiche: "gli A sono naturalmente nati per comandare e i B per eseguire", "sul mio testo sacro c'è scritto che i B mi sono stati dati come schiavi per l'eternità", "la nostra cultura è superiore alla loro" (sublimando il fatto che il tempo libero che dedicano alla raffinatezza gli è concesso solo grazie alla schiavitù dei B...).

Più recentemente va di moda l'autoassolutorio "ma il padre dei B picchia i suoi figli!" come se questo giustificasse la rapina perpetrata dagli A a danno dei B.

In certi casi la sublimazione potrebbe essere presente anche nei B ("siamo troppo stupidi rispetto al padrone"). Oppure in alcuni di loro, che a tutti gli effetti si assicurano che i fratelli sgobbino in nome e per conto degli A. Si chiamano "collaborazionisti".

Alcuni A potrebbero essere mossi a pietà ed aiutare i bambini B che si ammalano per le pessime condizioni di vita intrinseche al tipo di rapporto. Si comprano così una coscienza nuova di zecca. Oppure lo fanno in assoluta buona fede, mettendo in discussione radicalmente il rapporto padrone-schiavo, e andando così contro gli interessi della loro stessa famiglia per un sincero senso di giustizia. "Ingrati sognatori utopisti" li chiamano, in famiglia. Sono quasi sempre una minoranza eccentrica.

Una cosa va detta, perché la morale comune è una cosa e l'Etica un'altra: ogni volta che A sublima, lo fa solo per poter convivere con la sua colpa. Ogni volta che B accetta questa logica, lo fa solo per convivere con la viltà di chi ha preferito la schiavitù alla morte. E infine ogni volta che A dice di non voler pagare B quanto dovrebbe perché B picchia i suoi figli, A è un ladro e un farabutto! Il prodotto va pagato, e questo non c'entra nulla coi rapporti familiari interni del fornitore.


Nella fase di emancipazione, B trova l'occasione per esercitare un ferreo controllo sui membri della propria famiglia con la scusa della possibilità di un "contrattacco" da parte di A. In altri termini B sfrutta questa occasione per riprodurre - all'interno - il rapporto di produzione schiavista con la giustificazione della presenza di potenti nemici esterni.

Nella stessa fase, A potrebbe sottolineare costantemente l'oppressione familiare dei B per giustificare il ritorno alla condizione schiavista pre-emancipazione, con la scusa che il pericolo va fermato subito. Preventivamente. In entrambi i casi ci troviamo di fronte a due farabutti, uno dei quali un tiranno e l'altro un ladro in decadenza.

La terza fase potrebbe essere un'occasione per entrambe le famiglie per mettere in piedi un rapporto duraturo. E' intrinsecamente più stabile del rapporto 1 perché non è fondato sul terrore e sulla coercizione, e del rapporto 2 perché non si fonda sull'odio e sulla tirannia interna. Ma le due famiglie si trovano in una condizione psicologica differente:

Gli A stanno subendo un peggioramento delle proprie condizioni di vita. Ciò che prima era gratis ora si deve guadagnare col sudore della fronte. I figli cominciano a notare che il vestito nuovo di mamma si poteva anche non comprare per pagare invece il nuovo iPad... Si litiga.

I B dal canto loro hanno la vita più facile: papà può affrontare le rivendicazioni dei figlioli con una disponibilità maggiore, senza dover ricorrere sempre alle cinghiate. I B sono più sereni.

Quando si è nella terza fase il compito degli A è più difficile, e molto dipende dal loro approccio: se riescono a sublimare la nuova condizione definendosi "uomini che non si fanno mantenere da nessuno", se riescono a farlo con la stessa bravura con la quale sublimavano la loro condizione di padroni di nome e mantenuti di fatto, allora la cosa funzionerà.

Altrimenti si tornerà ad oscillare tra le fasi 1 e 2. Per sempre.

***

Un'occasione? (aggiunta  posteriore)

Un amico suggerisce che la crisi attuale potrebbe essere un'occasione per il paese. In fondo l'Italia non è priva di risorse, forse un po' mal sfruttate, soprattutto nell'agroalimentare. Vero.

Cadremmo nella situazione in cui la famiglia A, nel momento in cui viene messa in difficoltà dall'emancipazione della famiglia B, decide di rimboccarsi le maniche e produrre in proprio. Ora, non è che la famiglia A avesse deciso di starsene negli "otia serena" per chissà quali motivi, lo faceva perché era inondata dai prodotti a basso costo della famiglia B e quindi non aveva bisogno di produrre.

I figli del signor A - a guardarli bene - non sembrano tipi da mettersi dietro a un tornio o a zappare la terra come quelli del signor B. Per carità tutto può essere, ma A' si è messo a fare il pittore, A'' studia scienza della comunicazione, A''' vorrebbe diventare fotomodella e lavorare nello spettacolo. I gemelli fanno uno il giocoliere mangiafuoco e l'altro assorda tutti con la chitarra. Quelli più concreti hanno studiato da medici, avvocati, notai, commercialisti. Nessuno sembra felice all'idea di allattare un maialino standosene immerso nel fango e nel piscio fino alla cintola...

Persino le pulizie di casa - ai tempi delle vacche grasse - le si faceva fare a qualche figlio dei B che se ne scappava dal padre autoritario. Anche perché i figli di A in mezza giornata passavano solo l'aspirapolvere in una stanza e di certo non pulivano il water!

Ma gli A tutto questo se lo potevano permettere perché B li riforniva di prodotti a basso costo. Certo, ora cominciano a intuire che "bisognerebbe farlo", ma poi si guardano a vicenda aspettando che qualcun altro si faccia avanti (in dialetto genovese il "besugneiva" è un vero e proprio stato d'animo...).

Riassumiamo: la famiglia B riforniva 100 unità di prodotto alla famiglia A. Grazie a questo benessere gli A si sono abituati a livelli di consumo elevatissimi. Il problema è che se ora si mettessero a produrre in proprio NON RAGGIUNGERANNO quel livello di consumi.

Intendo dire che il figlio strimpellatore impazzirà all'idea di dover lavorare di pialla. La figlia fotomodella piangerà come un salice quando dovrà passare la giornata ad archiviare pratiche in ufficio. L'umore in famiglia cambierà. Il padre sgriderà più spesso, i figli risponderanno. Non è detto che la famiglia sopravviva. E' auspicabile, ma non è detto.