lunedì 14 febbraio 2011

Carter e Obama, l'Iran e l'Egitto

A fine gennaio la gente in piazza Tahrir chiedeva il semplice passaggio delle consegne da Mubarak al primo ministro Suleyman. Mubarak ci mise troppo tempo e così, quando questo passaggio avvenne, la gente ormai voleva niente meno che le dimissioni. La mia sensazione è che, se Mubarak avesse provato a tirare avanti ancora per un mese, l'Egitto sarebbe finito come l'Iran.

Nel 1979 l'uscita di scena dello Shah avvenne troppo tardi. Per i movimenti islamici era ormai chiaro che le strutture dello stato si erano già disgregate, e che sarebbe stato sufficiente un ultimo sforzo per raccogliere il frutto maturo del potere.

La gente avrebbe seguito. Era chiaro a tutti che lo stato monarchico non sarebbe più stato in grado di garantire gli stipendi, le pensioni, e nemmeno l'ordine pubblico. Nel febbraio del 1979 agli occhi della borghesia iraniana, ufficiali dell'esercito inclusi, l'unica struttura politica con un capo e una coda e in grado di riportare l'ordine, era l'Hezbollah.

Nell'autunno del 1978, sulla spinta di un'opinione pubblica occidentale disgustata dalle stragi della repressione, Carter abbandonò lo Shah. Gli USA cercarono di giocarsi la carta della liberaldemocrazia con Shapur Bakhtiar, che divenne primo ministro. Pochi lo sanno, Bakhtiar era un vero galantuomo. Ma sarebbe stato l'uomo giusto un anno prima, cioè nel 1977. Insomma gli USA fecero troppo tardi e persero l'occasione.

La mia impressione è che Obama abbia giocato la stessa carta in tempo utile in Nordafrica. Certo, l'Egitto è in grave crisi economica, il partito islamico è forte. Ma le strutture dello stato sono intatte. Non c'è stato un lunghissimo braccio di ferro tra esercito e popolazione. Non c'è sangue da vendicare. Obama è in tempo perché ha evitato la strage.

In questa condizione è probabile che, se il partito islamico cercasse di "iranizzare" l'Egitto con la forza, ne uscirebbe sconfitto come in Algeria: la borghesia lo abbandonerebbe. Perciò cercherà di vincere le elezioni. Non potendo prendere il potere con sola la forza d'urto delle masse è probabile che segua le orme del "Adalet ve Kalkınma Partisi" di Erdogan, il quale per inciso sostiene da tempo i Fratelli Musulmani.

Mi piace pensare che l'Iran abbia insegnato qualcosa. Che Obama sia un Carter con più esperienza. Ma non sarebbe l'unico ad aver imparato qualcosa dalla rivoluzione iraniana. L'estabilishment iraniano attuale ha preso il potere con una rivoluzione, e sa perfettamente come funziona: se dai un dito perdi l'intero braccio. Quindi è compatto, non arretra di un passo di fronte al malcontento generale, e cerca di tenersi stretti i suoi.

Ovviamente anche l'opposizione è formata da ex rivoluzionari che sanno come funziona la lotta politica in quelle condizioni. Perciò ogni volta che si presenta l'occasione cercano di porre il regime di fronte a situazioni di "perdita-perdita", come nel caso della richiesta di autorizzazione a manifestare a favore del popolo oppresso d'Egitto e della Tunisia. Il logico diniego del ministero degli interni è finito per smascherare il ridicolo tentativo di Khamenei di mettere il proprio turbante sulla testa dei movimenti nordafricani. In più l'opposizione ha dichiarato che scenderà in piazza lo stesso. Così gli arresti domiciliari di Karoubi l'altro ieri, e la probabile militarizzazione delle città domani, per non parlare degli scontri, arresti e repressione che seguiranno, rimetteranno il regime nel posto che gli compete: insieme ai cattivi del film che stiamo vedendo in questi giorni.

La partita che si sta giocando in Iran è tra due forze politiche che cercano si sfaldare l'uno la compattezza dell'altro. Vincerà chi dei due ci riuscirà meglio.

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