martedì 15 febbraio 2011

Sul metrò

 
Non c'è nulla di meglio del viaggiare sui mezzi pubblici per captare l'umore della gente. Generalmente tendo ad andare al lavoro a piedi, ma una volta alla settimana salgo su un autobus anche per una o due sole fermate. 
 
In genere ascoltando la gente sento delle fastidiosissime cazzate e mi chiedo chi me l'abbia fatto fare. Ma è comunque un bene. E' come punzecchiarsi quando si è al freddo per non perdere sensibilità. Traduco un breve articolo di un collaboratore di Peyknet.

***

In Iran nell'attesa della rabbia repressa della gente

Il terrore di condividere il destino della Tunisia e dell'Egitto si è già impadronito del regime. Ieri, seguendo le orme del presidente dello Yemen, dell'emiro del Kuwait e dei re della Giordania e dell'Arabia Saudita, Ahmadinejad ha fatto diffondere la notizia che il governo avrebbe ripreso parzialmente a calmierare il prezzo della frutta e dei beni di consumo. Queste promesse nascono dalla paura di dover affrontare la rabbia popolare in una rivolta per il pane che, se anche non dovesse esserci domani, potrebbe scoppiare in un qualunque altro giorno.

Oggi mi trovavo sul metro. La gente si lamentava perché il prezzo del biglietto a corsa singola presto aumenterà a 900 tuman (*). Discutevano di questo e facevano piovere una grandinata di insulti su tutto il governo. A qualcuno è scappato da dire che domani c'è una manifestazione di protesta, da piazza Emam Hossein fino a piazza Azadi. Molti non lo sapevano.
 
Ho visto con i miei occhi quanto sia forte oggi il movente economico per una rivolta popolare. Sono certo che se i leader del movimento convocassero una marcia di protesta contro il carovita e la disoccupazione ci sarebbe l'esplosione di rabbia di cui scrivevo poco sopra. Ma forse è proprio per questa ragione che non lo hanno ancora fatto. Perché sanno che le conseguenze di una rivolta di quel tipo sono incontrollabili, e per adesso sperano ancora che il regime torni alla ragione.

--
(*) Circa 0.70 euro. Da notare che in Iran il reddito medio procapite lordo è di 8.000 euro all'anno circa. Facendo il rapporto è come se in Italia il biglietto a corsa singola venisse a costare 2 euro.

lunedì 14 febbraio 2011

Felice come l'uomo del banco dei pegni


Qualcuno si chiede perché bloggo meno. Io invece mi chiedo spesso cosa farei se vivessi lì. Se avessi dei figli - alla mia età in Iran spesso si hanno dei figli grandicelli - li farei uscire di casa per andare in corteo, o li incatenerei nello sgabuzzino? Io stesso andrei al corteo? Lascerei la busta con dentro il testamento sulla scrivania prima di uscire, come fanno molti di quei ragazzi?

In fondo il movimento ha mostrato che nonostante la durissima repressione è vivo e vegeto. Il terrore del regime è direttamente proporzionale alla scompostezza della sua reazione ogni volta che la coerenza delle sue bugie viene a galla. E comunque un morto solo lo avrei sottoscritto ieri sera.

Ma io sono qua e la mia generazione è sparita. Anagraficamente in Iran non ci sono maschi classe 1965: morti durante la rivoluzione, morti durante i primi anni del khomeinismo perché stavano nella corrente rivoluzionaria sbagliata, morti in guerra, morti dopo la guerra per le conseguenze dell'iprite tedesco usato da Saddam, mutilati, oppure fuggiti all'estero. Io sono di quelli fuggiti all'estero. Loro sono lì e rischiano, io sono qui e la racconto, è la storia della mia vita. Dovrei sentirmi bene: sono al sicuro, non rischio niente e ho la consolazione di stare dalla parte giusta.

Si dice che l'incidenza dei suicidi fosse alta tra i sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. Come "l'uomo del banco dei pegni", o come Primo Levi, per fare giusto due esempi. Deve aver a che fare coi disturbi da depressione post traumatica. Non sono mai stato il tipo da piangistei, e sono parecchio lontano dalla pur minima tendenza al suicidio e alla depressione. Ma non sto affatto bene quando racconto cosa succede lì. Anzi a dirla tutta mi sento uno schifo.

Carter e Obama, l'Iran e l'Egitto

A fine gennaio la gente in piazza Tahrir chiedeva il semplice passaggio delle consegne da Mubarak al primo ministro Suleyman. Mubarak ci mise troppo tempo e così, quando questo passaggio avvenne, la gente ormai voleva niente meno che le dimissioni. La mia sensazione è che, se Mubarak avesse provato a tirare avanti ancora per un mese, l'Egitto sarebbe finito come l'Iran.

Nel 1979 l'uscita di scena dello Shah avvenne troppo tardi. Per i movimenti islamici era ormai chiaro che le strutture dello stato si erano già disgregate, e che sarebbe stato sufficiente un ultimo sforzo per raccogliere il frutto maturo del potere.

La gente avrebbe seguito. Era chiaro a tutti che lo stato monarchico non sarebbe più stato in grado di garantire gli stipendi, le pensioni, e nemmeno l'ordine pubblico. Nel febbraio del 1979 agli occhi della borghesia iraniana, ufficiali dell'esercito inclusi, l'unica struttura politica con un capo e una coda e in grado di riportare l'ordine, era l'Hezbollah.

Nell'autunno del 1978, sulla spinta di un'opinione pubblica occidentale disgustata dalle stragi della repressione, Carter abbandonò lo Shah. Gli USA cercarono di giocarsi la carta della liberaldemocrazia con Shapur Bakhtiar, che divenne primo ministro. Pochi lo sanno, Bakhtiar era un vero galantuomo. Ma sarebbe stato l'uomo giusto un anno prima, cioè nel 1977. Insomma gli USA fecero troppo tardi e persero l'occasione.

La mia impressione è che Obama abbia giocato la stessa carta in tempo utile in Nordafrica. Certo, l'Egitto è in grave crisi economica, il partito islamico è forte. Ma le strutture dello stato sono intatte. Non c'è stato un lunghissimo braccio di ferro tra esercito e popolazione. Non c'è sangue da vendicare. Obama è in tempo perché ha evitato la strage.

In questa condizione è probabile che, se il partito islamico cercasse di "iranizzare" l'Egitto con la forza, ne uscirebbe sconfitto come in Algeria: la borghesia lo abbandonerebbe. Perciò cercherà di vincere le elezioni. Non potendo prendere il potere con sola la forza d'urto delle masse è probabile che segua le orme del "Adalet ve Kalkınma Partisi" di Erdogan, il quale per inciso sostiene da tempo i Fratelli Musulmani.

Mi piace pensare che l'Iran abbia insegnato qualcosa. Che Obama sia un Carter con più esperienza. Ma non sarebbe l'unico ad aver imparato qualcosa dalla rivoluzione iraniana. L'estabilishment iraniano attuale ha preso il potere con una rivoluzione, e sa perfettamente come funziona: se dai un dito perdi l'intero braccio. Quindi è compatto, non arretra di un passo di fronte al malcontento generale, e cerca di tenersi stretti i suoi.

Ovviamente anche l'opposizione è formata da ex rivoluzionari che sanno come funziona la lotta politica in quelle condizioni. Perciò ogni volta che si presenta l'occasione cercano di porre il regime di fronte a situazioni di "perdita-perdita", come nel caso della richiesta di autorizzazione a manifestare a favore del popolo oppresso d'Egitto e della Tunisia. Il logico diniego del ministero degli interni è finito per smascherare il ridicolo tentativo di Khamenei di mettere il proprio turbante sulla testa dei movimenti nordafricani. In più l'opposizione ha dichiarato che scenderà in piazza lo stesso. Così gli arresti domiciliari di Karoubi l'altro ieri, e la probabile militarizzazione delle città domani, per non parlare degli scontri, arresti e repressione che seguiranno, rimetteranno il regime nel posto che gli compete: insieme ai cattivi del film che stiamo vedendo in questi giorni.

La partita che si sta giocando in Iran è tra due forze politiche che cercano si sfaldare l'uno la compattezza dell'altro. Vincerà chi dei due ci riuscirà meglio.