venerdì 16 luglio 2010

Oh no... Un altro post su internet e l'opposizione iraniana!


A distanza di più di un anno sarebbe interessante riguardare al ruolo di internet nell'organizzazione dell'opposizione iraniana. Ma dovremmo partire dall'inizio.

"Non si organizzano delle elezioni per perderle" disse una volta Eyadema, dittatore del Togo. Tuttavia delle elezioni con un'alta partecipazione popolare danno lustro alla vittoria, quindi bisogna convincere l'elettore che il confronto elettorale sarà libero. Nelle settimane prima delle elezioni del giugno 2009 i riformisti in Iran vissero un periodo di grande libertà politica. Non che potessero godere di una sorta di "par condicio" nella TV statale, totalmente sotto il controllo del governo. Ma l'opposizione si organizzava, si mostrava nelle strade liberamente e - il vero punto di svolta - per la prima volta ha potuto "contarsi" grazie al colore verde indossato in tutte le manifestazioni pubbliche.

La mancanza di accesso a TV e giornali ha spinto l'opposizione ad utilizzare prevalentemente la rete, e lo ha fatto in modo del tutto naturale. La leadership del movimento, a partire da Mousavi, appoggiò entusiasticamente la politica di "ciascun simpatizzante un medium, ciascun simpatizzante un leader" (slogan che non va preso alla lettera come vedremo). Come conseguenza l'organizzazione del movimento ha assunto spontaneamente una struttura a rete, così come richiedeva il suo medium comunicativo principale. La cosa non fu difficile: una buona percentuale di iraniani usavano internet già da un decennio. Insomma le competenze c'erano già, è stato sufficiente usarle nella politica anziché nel cazzeggio.

Dal canto suo il regime - avendo il controllo totale dell'informazione tradizionale - ha inizialmente dato l'impressione di aver preso sottogamba il medium concorrente e, quando si è accorto dell'errore, era troppo tardi.

In un paese come l'Iran in cui le famiglie sono diciamo così "allargate", l'azione di ciò che viene chiamato "opinion leadership locale" e "contagio sociale" (concetti da tempo studiati nel marketing) può essere notevole anche con la semplice comunicazione orale. Che poi internet amplifichi il contagio sociale o quantomeno lo espanda su scala molto più ampia è intuitivo. Ma, in condizioni ordinarie, la cosa non ha necessariamente effetti politici. Oltretutto da altri media ramificati, ancorché tradizionali, può scaturire a sua volta il contagio. Infine non è detto che il contagio proveniente da internet sia radicalmente opposto al contagio proveniente da TV e giornali. Anche se - essendo il contenuto del medium il medium stesso come direbbe McLuhan - una contrapposizione alla fine sarà inevitabile.

L'Iran del 2009 però presenta condizioni straordinarie.

Il fatto che la popolazione sia molto giovane è ormai noto anche ai bambini. Meno noto il fatto che nel 2009 circa metà dei cittadini iraniani avesse una qualche forma di accesso a internet, e che il vero boom si sia avuto proprio sotto l'amministrazione di Ahmadinejad (vedi ad esempio qui). In altre parole una popolazione giovane, desiderosa di esprimersi liberamente, trova il modo di farlo solo su internet esattamente nel momento in cui si diffondono i social network e web 2.0.

La diffidenza verso i media tradizionali in Iran è comprensibilmente molto radicata. La TV è uno strumento di propaganda del regime, lo sanno tutti e ne traggono le conseguenze. Questa convinzione è radicata soprattutto tra la popolazione giovane e istruita, almeno stando alla mia esperienza personale. In questa situazione il ruolo della "local opinion leadership" diventa cruciale: i parenti e gli amici si rivolgono al loro referente locale - quello che "capisce di politica" - per formarsi opinioni che ritengono essere in qualche modo più affidabili rispetto allo "spin" dei media. Perché si fidano, o semplicemente ritengono il conoscente più disinteressato. Lo stesso meccanismo che mi fa chiedere a un amico che "capisce di motori" quale auto dovrei comprare, finendo per fidarmi più di lui che della pubblicità.

La mia tesi è che l'Iran del 2008-2009 abbia vissuto uno spostamento della opinion leadership locale su posizioni di critica verso il regime. Non accadde casualmente: affidandosi principalmente alla televisione e alla stampa, l'opinion leader favorevole al regime non faceva altro che ripetere cose che l'interlocutore considerava ormai semplice propaganda. E' come se il mio amico che capisce di motori cercasse di convincermi a comprare un'auto usando le stesse esatte parole che ogni sera sento in una pubblicità: finisco per chiedere pareri a qualcun altro. Lo spostamento politico della opinion leadership locale avviene, cioè, in conseguenza ad una diffusa "fame di opinioni differenti" (la quale ha le sue ragioni economiche e sociali che eviterei di analizzare qui): opinioni che potevano formarsi e confrontarsi liberamente solo su internet.

E' già successo che un uomo politico si affidasse a internet come medium preferenziale. Almeno si dice così di Obama ad esempio. Tuttavia la critica maggiore a questo tipo di approccio è il pericolo del populismo se non del culto della personalità, in quanto il politico fa a meno di una struttura - il partito - ancora oggi ritenuta tutto sommato affidabile e tranquillizzante. Oppure si finisce in un innocuo sottofondo di lagna, nell'inazione politica totale.

Ma, a mio parere, più che considerarla superficialmente "la prima rivoluzione via twitter", è interessante analizzare il Movimento Verde iraniano come il primo esperimento di partito organizzato e coordinato prevalentemente su internet. In un partito c'è una linea politica che nasce dalla dialettica tra opinioni differenti, ma che alla fine prevale. Presa una certa decisione c'è una disciplina di partito alla quale la militanza si attiene. Tutto questo sembrerebbe poco adatto a internet perché la nostra esperienza di partiti ce li fa identificare con una struttura piramidale che parte dalla leadership e si allarga al simpatizzante passando per quadri e militanti.

Seguo e studio il movimento verde da più di un anno e racconto ciò che vedo di prima mano. Il caso iraniano sembrerebbe dimostrare che il "partito su internet" è possibile. E' possibile tenere "congressi" in cui si scambiano opinioni politiche e organizzative, si scartano quelle che non convergono con la linea generale, si individuano e persino si emarginano provocatori e deviazionisti, e il dibattito infine fornisce la base per i comunicati ufficiali della leadership.

I comunicati ufficiali sono diffusi principalmente via internet (e poi magari stampati e diffusi alla vecchia maniera) e - alla stregua di vere e proprie "mozioni" - stabiliscono che tipo di azioni politiche mettere in atto diventando spunti per successivi "congressi". E - almeno finora - prevale in generale una forte disciplina di partito.

Non sto dicendo che non sia sentita l'esigenza di avere una propria rete radio e TV. Ebrahim Nabavi e Mohsen Makhmalbaf stanno lavorando proprio a questo, e ne parlerò nel prossimo post. Dico però che web 2.0 può essere qualcosa di diverso da un posto dove ci si segnala a vicenda dei filmati buffi come oggi fanno in molti e come credeva Ahmadinejad due anni fa.

Internet può essere uno strumento che cambia, modernizza, amplia la dislocazione fisica di un partito politico senza snaturarlo e senza ucciderlo. Anzi, forse potenziandolo.

Nessun commento:

Posta un commento