giovedì 8 luglio 2010

Ancora sul bazar


Qualche dettaglio in più. A quanto leggo, il governo aveva intenzione di aumentare sensibilmente le imposte dirette a carico dei commercianti. Si trattava quasi di un raddoppio rispetto all'anno precedente: il 70% in più.

Martedì sono iniziate le prime proteste. Ne è seguito un incontro in serata tra il ministero delle finanze, quello delle attività produttive, e il segretario dell'unione dei commercianti. Sembrava si fosse raggiunto un accordo intorno ad un aumento della pressione fiscale pari "solo" al 30%, secondo quanto riporta l'agenzia nazionale ISNA. Si è anche deciso di avere un incontro pubblico in presenza dei "bazarì" per illustrare l'accordo.

Certo il comportamento dell'amministrazione non invoglia il cittadino a pagare le tasse. Da quasi due anni il governo si rifiuta di dare spiegazione ai numerosi rilievi della corte dei conti sulle irregolarità del bilancio pubblico. Il parlamento [*] non riesce ad esercitare nessun tipo di controllo sulla spesa del gettito semplicemente perché il governo non risponde. Oltretutto voci ingenti di spesa sono secretati dal governo con la scusa della sicurezza.

L'incontro pubblico non è andato come il governo sperava. I commercianti hanno fortemente protestato contro l'accordo, sostenendo che a causa della crisi economica [**] oggi non riuscirebbero neppure a pagare le stesse tasse dell'anno scorso, figuriamoci un aumento del 30%.

I toni erano talmente accesi che il ministro delle attività produttive ha dovuto abbandonare precipitosamente la sala. A questo punto il delegato dell'unione dei commercianti - che aveva firmato l'accordo del 30% - si è limitato a prendere atto che la base rifiutava l'accordo e ha ritirato la propria firma.

Il resto lo sapete.

[*] Giova ricordare che nelle democrazie dell'era moderna la prima prerogativa di qualunque parlamento è il controllo della spesa pubblica. La funzione di approvazione del bilancio, nei parlamenti, ha storicamente preceduto la stessa funzione legislativa.

[**] In Iran la crisi è durissima. Basta pensare che le spesso le stesse aziende a capitale pubblico pagano gli stipendi con ritardi che oscillano tra i sei mesi e l'anno. I consumi calano, ma l'inflazione cresce a causa del peggioramento del cambio, il che fa salire il prezzo di qualunque bene di importazione.

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