lunedì 28 giugno 2010

La sberla di Dio non fa rumore - 1

Per la prima volta nella storia del paese c'è un movimento di opposizione di massa che - pur raccogliendo idee politiche disparate - sembra trovare una base comune di accordo sulla necessità del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo.

Per tutta la seconda parte del ventesimo secolo, salvo rare e minoritarie eccezioni, i movimenti politici iraniani hanno giustificato la violenza come necessità, se non direttamente come strumento di lotta politica. La violenza nella politica è poi una diretta conseguenza della violenza privata: qualunque iraniano della mia generazione è stato abituato ad accettare come naturali e meritate le punizioni corporali pubbliche da parte delle "autorità", fin dalle scuole elementari. Così la canna del preside si trasformava - in modo del tutto naturale - nel bastone del torturatore nel carcere di Evin.

Tuttavia non esistono popoli naturalmente più violenti di altri, esiste invece una cosa che Marx chiama "funzione civilizzatrice del capitale". Perciò accade che, all'aumento del grado di benessere, un padre non tollera più che il figlio venga preso a schiaffi da un preside e, per estensione, un popolo non tollera più di vedere esecuzioni pubbliche e violazioni dei diritti personali.

Nemmeno quando si tratta di minoranze. Nemmeno quando si tratta di persone che la pensano diversamente da te. Ti metti così a cercare una tua "via nazionale" verso il liberalismo, una "via islamica" verso il rispetto dei diritti umani. Senza più far coincidere questi concetti con l'imperialismo culturale dell'occidente.

Ideologicamente la repubblica islamica finisce in una mortale contraddizione interna quando cerca di coniugare conoscenza, benessere materiale e progresso culturale, con gli "ipse dixit" previsti dalla dottrina della "reggenza del giuresconsulto". La "libera università islamica" ad esempio, nata per formare i quadri del regime, finisce per formare la base culturale dell'opposizione, esattamente se non più di quanto accadeva già nelle infide università statali.

Sono gli "ingrati del benessere francese" di De André. E' troppo tardi per tornare indietro ora.

L'atteggiamento degli schieramenti politici verso i bahai iraniani è un po' la cartina di tornasole di questa evoluzione. Dall'estrema sinistra all'estrema destra, i bahai sono sempre stati considerati un corpo estraneo al paese.

L'atteggiamento dell'intellighentia nei confronti dei pogrom anti-bahai scatenati per un secolo e mezzo da mullah locali è sempre stata segnata dal disinteresse, se non direttamente da giustificazionismo o da un accondiscendente senso di inevitabilità. Persino i marxisti, che dovrebbero avere una visione scientifica della storia, una visione che dovrebbe mettere al centro della storia le masse e la dialettica tra le classi, avevano nei confronti del bahaismo una visione esclusivamente complottistica. Marx li avrebbe presi a schiaffi.

Nessuna forza politica poi aveva nel suo DNA le istanze liberali e la difesa dei diritti dell'uomo. Ma le cose cambiano. Cambiano perché un popolo prima o poi fa a se stesso ciò che ha fatto alle sue minoranze e, talvolta, capita che il popolo proprio per questo capisce che ciò che ha fatto alle sue minoranze era sbagliato. 

In Iran in questi casi si dice che le sberle di Dio non fanno rumore.

Due anni fa un gruppo di circa 260 intellettuali iraniani hanno sottoscritto una lettera intitolata "ci vergogniamo" all'indirizzo della comunità internazionale bahai. Insomma per farla breve noto una inedita sensibilità interna verso questa questione, e mi illudo che molta gente non sia morta invano.

Approfondiremo la questione del "liberalismo indigeno" del movimento verde nei post che seguono. Qui traduco, dal sito di "Radio Farda", la notizia della distruzione delle case di una cinquantina di bahai nel nord del paese. I commenti dei lettori vanno dallo scandalizzato all'incazzato marcio.

***

Giunge notizia dall'Iran che nella regione del Mazandaran, vicino al capoluogo Sari, sono state distrutte da forze governative una cinquantina di case appartenenti a bahai. Non è la prima volta che assistiamo alla distruzione delle case dei bahai iraniani, e in passato sono stati spesso distrutti anche alcuni cimiteri. Abbiamo intervistato una fonte bahai informata sui fatti.

(...)

- Da diversi giorni girava voce che avevano intenzione di distruggere le nostre case e darvi fuoco ed eravamo preoccupati, ma in fondo non credevamo che arrivassero a tanto. Ci siamo comunque rivolti sia al governatorato della regione, sia al prefetto (...) ci hanno assicurato che una cosa del genere non era possibile così ci è tornato un po' di ottimismo. Ma poi accidentalmente il signor Ahmad Piri si è recato presso la sua casa. All'entrata del villaggio la sua auto è stata bloccata ed è stato aggredito verbalmente e fisicamente: "perché sei venuto qui?" e ha notato che stavano abbattendo la sua casa.

- Chi stava distruggendo la casa?

- Persone del posto. Poi lo hanno allontanato dicendo di non ripresentarsi prima di 48 ore. Purtroppo dobbiamo confermare che sono state distrutte 50 case con l'aiuto di 4 bulldozer.

- Signor Derakhshan, i proprietari delle case ora come stanno vivendo? Cosa ne è dei loro mobili?

- In ogni famiglia che visito vengo accolto da lamenti e lacrime. Devo dire a onor del vero che i nostri amici non vivevano lì: erano stati deportati altrove fin dai primi anni della rivoluzione, nel 1982. Sono arrivati, li hanno rastrellati minacciandoli con pale e forconi, e gli hanno detto che dovevano diventare musulmani. Poi li hanno rinchiusi nella moschea e alla fine li hanno sfollati. Ma da allora ogni anno al momento della semina e della raccolta si presentavano nelle loro abitazioni con un permesso speciale deell'autorità giudiziaria, per periodi brevi. Sebbene la maggior parte delle terre fosse stata requisita.

- Signor Derakhshan, sta dicendo che i proprietari delle case dovevano richiedere un permesso speciale per entrare nella loro proprietà?

- Esattamente. Ogni volta che volevano recarsi nelle loro case dovevano richiedere un lasciapassare del tribunale per potervi restare due o tre giorni. A qualunque autorità ci siamo rivolti abbiamo incontrato ostilità e disinteresse. Abbiamo scritto una lettera in cui denunciavamo il fatto che ci stavano demolendo le case, ma ci è stato detto che la lettera stessa prefigurava reato di sedizione contro lo stato islamico e che avrebbero potuto arrestarci. Li abbiamo pregati. Abbiamo detto che noi non siamo inglesi, non siamo americani, non siamo israeliani, siamo cittadini iraniani, vostri compatrioti, cosa dobbiamo fare...

- Signor Derakhshan, le persone che hanno distrutto le vostre case, sono più gente del posto o persone legate alle autorità?

- Lei cosa immagina? Secondo lei come si fa ad abbattere cinquanta cascine, ciascuna con una stalla e una legnaia, senza una minuziosa organizzazione? Noi abbiamo denunciato la cosa sia prima che durante la demolizione. Come pensa che sia andata?

- I bulldozer erano mezzi della regione o del comune?

- Non lo possiamo dire con certezza assoluta. Ciò che conta è che ormai la demolizione c'è stata. Ma c'è una cosa. Quando abbiamo riferito al governatorato che giravano voci di demolizione siamo stati accolti dal vice governatore, il quale ci ha dato una risposta interessante. Ha detto: il governatore è un po' come un medico. Quando ritiene che nel corpo della collettività ci sia un tumore dannoso per l'organismo, può tagliarlo via. Ora sono io a chiederle una cosa: i contadini bahai del nostro villaggio sono il tumore maligno della collettività?

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