sabato 19 giugno 2010

Il 12 giugno e l'autocoscienza del movimento


Traduco il bilancio di un anno di lotta pubblicato in una nota di facebook dal gruppo "Rivoluzione Verde".

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L'insieme degli eventi succedutisi in occasione dell'anniversario delle elezioni ha dimostrato il grado di maturità di un movimento che sa quando deve utilizzare la propria forza sociale e sa quando sfruttare le potenzialità  e opportunità politiche. L'articolo che segue analizza come il movimento è stato in grado di impedire una dannosa crisi sociale e, simultaneamente ed intelligentemente, aggravare la crisi politica del regime.

Ma prima di iniziare l'analisi è utile chiedersi: per quale motivo una manifestazione pacifica e silenziosa dovrebbe essere ritenuta pericolosa per l'incolumità fisica della gente e la sicurezza delle proprietà? Detto in altri termini: per quale ragione il regime approfitta di qualunque occasione per creare una crisi con l'obiettivo di militarizzare il paese?

Poiché è evidente che lo stesso regime viene danneggiato dalla costante presenza di una crisi politica. E' un po' come un autista che, criticato per come guida, volesse zittire i passeggeri puntando a tutta velocità verso un burrone. Eppure in questi dodici mesi siamo stati testimoni della chiara volontà di aggravare la crisi in alcuni settori del regime.

La verità è che la cricca al potere non è unita come sembra. Ci sono divergenze e contraddizioni tra le sue tre componenti principali: il Leader, la Sepah e Ahmadinejad. Tuttavia gran parte di queste contraddizioni vengono tatticamente narcotizzate per confrontarsi con l'avversario comune, rappresentato dal movimento.

La cricca al potere, durante l'anno passato, ha agito nella convinzione che qualunque via d'uscita moderata e razionale dalla crisi significasse sottoscrivere la propria caduta, e per questa ragione ha impegnato tutto il potere a sua disposizione per neutralizzare il movimento verde. In questa condizione la risoluzione delle contraddizioni tra le tre componenti del regime viene procrastinata fino alla completa repressione del movimento. La ragione è che, finché il movimento è attivo, qualunque nuovo progetto politico di una qualche consistenza potrebbe condurre al rovesciamento completo del regime.

Ma per un regime che pone la propria legittimazione negli imperativi assoluti di una leadership ritenuta infallibile, e nella retorica dell'attivismo jihadista, l'immobilismo politico viene necessariamente interpretato come segno di caduta inevitabile. In quest'ottica, il movimento, a causa della propria longevità, è una costante spina nel fianco di tutte le componenti del regime. Pur non avendo raggiunto il proprio obiettivo, cioè quello di estromettere i golpisti dal palazzo, esso ha conquistato un ruolo centrale.

Il movimento non ha ancora in mano le redini del potere politico, ma ha assunto il ruolo di "arbitro" delle contraddizioni e delle rivalità del regime. Ogni volta che una delle componenti intende mettere in atto un progetto per liquidare o indebolire le altre componenti, si trova di fronte ad un attore politico attivo e socialmente influente chiamato "movimento verde". Questo semplice fatto ha tolto al regime ogni dinamismo e ne la provocato la paralisi politica: la longevità del movimento significa perciò l'immobilismo del regime su tutti i fronti.

Per parte sua il regime non ha altra via che non sia quella del far perdurare della condizione di crisi, per poter legittimamente procedere alla repressione del movimento e recuperare su questo terreno il dinamismo perduto altrove. In questo scenario il "tasso di crisi" del regime diventa inversamente proporzionale al "tasso di tranquillità" sociale: più la stabilità regna nella società civile (sebbene essa resti allerta e pronta all'azione politica), e più il regime versa in una situazione politica critica.

Prova ne è che nella situazione attuale l'attività politica degli uomini del regime si è ridotta a nient'altro che esternare opinioni ridicole riguardo al rischio sismico, al velo delle donne, o all'esplosione demografica, oppure a spedirsi reciprocamente lettere di lamentele.

La disarmonia e l'anarchia nel fronte golpista hanno raggiunto un tale livello che delle squadracce arruolate da una parte del regime impediscono ad un'altra parte del regime di commemorare l'anniversario della morte del fondatore [*]. Stando così le cose il movimento può - con costi bassissimi - usare le proprie forze in una guerra di attrito per far corrodere le forze golpiste. Ad esempio il parlamento, a maggioranza conservatrice, pur non essendo obiettivo diretto della contestazione del movimento, è l'istituzione del regime che si sta smarcando più rapidamente.

Queste considerazioni dimostrano che il regime è corroso dalla rivalità interna fin dalle sue fondamenta, e che questa condizione condurrà alla vittoria del movimento, sia che avvenga gradualmente, sia che avvenga di colpo. L'unica occasione in cui la rivalità viene accantonata è nel confronto diretto col movimento: nelle strade.

La richiesta di autorizzazione per la manifestazione del 12 giugno da parte dei leader del movimento è stato un modo raffinato per chiedere al regime di scegliere il modo di andarsene, e non quello di scegliere tra l'andare o restare. La mancata autorizzazione, e la revoca ufficiale della manifestazione da parte dei leader del movimento, preoccupati per l'incolumità della gente, ha solo reso più facile una scelta che sarebbe stata comunque opportuna tatticamente. Inoltre questa coincidenza tra i fini e i mezzi adottati dal movimento è uno dei segni della sua forza.

Ciò che si è visto per le strade il 12 giugno è stato solo una parte molto piccola della massa impiegabile dal movimento, poiché i candidati eletti dal popolo avevano chiesto ai loro rappresentati di rinunciare a manifestare. Essi hanno agito come il legittimo governo di un paese che, godendo della legittimazione popolare, non ha bisogno della forza delle armi per farsi ascoltare. Il regime, dal canto suo, ha agito come un'opposizione eversiva assolutamente minoritaria, apparsa per le strade in armi solo per dire "ci siamo ancora".

Oggi il movimento verde è una forza dinamica e pienamente cosciente delle proprie possibilità politiche. Nell'ultimo anno ha accumulato esperienza, si è fatto conoscere, ed è in grado di manovrare su diversi teatri interni ed internazionali. Dispone delle proprie reti sociali e dei propri mezzi di informazione, ed è perciò in grado di prendere decisioni o cambiare tattica in modo rapido.

Nel frattempo la gente continua a vivere la propria quotidianità mentre il regime non riesce a governare. Il palazzo è paralizzato, e per un regime in queste condizioni la scelta tra l'immobilità o l'azione si riduce ad una scelta tra l'andarsene lentamente o rapidamente.

[*] NdT - Il 4 giugno un gruppo di attivisti pro-Ahmadinejad si è infiltrato nelle commemorazioni di Khomeini con la connivenza delle forze dell'ordine. Il gruppo ha contestato violentemente il nipote dell'Ayatollah che ha simpatie pro-Moussavi, impedendogli di tenere il discorso agiografico che il protocollo prevedeva. Khamenei ha cercato di dissuaderli ma il gruppo è arrivato al confronto muso a muso persino con il leader. Al che si è sentito forte e chiaro anche uno slogan estremamente ambiguo e minaccioso per Khamenei: "Ahmadinehad, abbatti il Grande Idolo".

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