lunedì 28 giugno 2010

La sberla di Dio non fa rumore - 1

Per la prima volta nella storia del paese c'è un movimento di opposizione di massa che - pur raccogliendo idee politiche disparate - sembra trovare una base comune di accordo sulla necessità del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo.

Per tutta la seconda parte del ventesimo secolo, salvo rare e minoritarie eccezioni, i movimenti politici iraniani hanno giustificato la violenza come necessità, se non direttamente come strumento di lotta politica. La violenza nella politica è poi una diretta conseguenza della violenza privata: qualunque iraniano della mia generazione è stato abituato ad accettare come naturali e meritate le punizioni corporali pubbliche da parte delle "autorità", fin dalle scuole elementari. Così la canna del preside si trasformava - in modo del tutto naturale - nel bastone del torturatore nel carcere di Evin.

Tuttavia non esistono popoli naturalmente più violenti di altri, esiste invece una cosa che Marx chiama "funzione civilizzatrice del capitale". Perciò accade che, all'aumento del grado di benessere, un padre non tollera più che il figlio venga preso a schiaffi da un preside e, per estensione, un popolo non tollera più di vedere esecuzioni pubbliche e violazioni dei diritti personali.

Nemmeno quando si tratta di minoranze. Nemmeno quando si tratta di persone che la pensano diversamente da te. Ti metti così a cercare una tua "via nazionale" verso il liberalismo, una "via islamica" verso il rispetto dei diritti umani. Senza più far coincidere questi concetti con l'imperialismo culturale dell'occidente.

Ideologicamente la repubblica islamica finisce in una mortale contraddizione interna quando cerca di coniugare conoscenza, benessere materiale e progresso culturale, con gli "ipse dixit" previsti dalla dottrina della "reggenza del giuresconsulto". La "libera università islamica" ad esempio, nata per formare i quadri del regime, finisce per formare la base culturale dell'opposizione, esattamente se non più di quanto accadeva già nelle infide università statali.

Sono gli "ingrati del benessere francese" di De André. E' troppo tardi per tornare indietro ora.

L'atteggiamento degli schieramenti politici verso i bahai iraniani è un po' la cartina di tornasole di questa evoluzione. Dall'estrema sinistra all'estrema destra, i bahai sono sempre stati considerati un corpo estraneo al paese.

L'atteggiamento dell'intellighentia nei confronti dei pogrom anti-bahai scatenati per un secolo e mezzo da mullah locali è sempre stata segnata dal disinteresse, se non direttamente da giustificazionismo o da un accondiscendente senso di inevitabilità. Persino i marxisti, che dovrebbero avere una visione scientifica della storia, una visione che dovrebbe mettere al centro della storia le masse e la dialettica tra le classi, avevano nei confronti del bahaismo una visione esclusivamente complottistica. Marx li avrebbe presi a schiaffi.

Nessuna forza politica poi aveva nel suo DNA le istanze liberali e la difesa dei diritti dell'uomo. Ma le cose cambiano. Cambiano perché un popolo prima o poi fa a se stesso ciò che ha fatto alle sue minoranze e, talvolta, capita che il popolo proprio per questo capisce che ciò che ha fatto alle sue minoranze era sbagliato. 

In Iran in questi casi si dice che le sberle di Dio non fanno rumore.

Due anni fa un gruppo di circa 260 intellettuali iraniani hanno sottoscritto una lettera intitolata "ci vergogniamo" all'indirizzo della comunità internazionale bahai. Insomma per farla breve noto una inedita sensibilità interna verso questa questione, e mi illudo che molta gente non sia morta invano.

Approfondiremo la questione del "liberalismo indigeno" del movimento verde nei post che seguono. Qui traduco, dal sito di "Radio Farda", la notizia della distruzione delle case di una cinquantina di bahai nel nord del paese. I commenti dei lettori vanno dallo scandalizzato all'incazzato marcio.

***

Giunge notizia dall'Iran che nella regione del Mazandaran, vicino al capoluogo Sari, sono state distrutte da forze governative una cinquantina di case appartenenti a bahai. Non è la prima volta che assistiamo alla distruzione delle case dei bahai iraniani, e in passato sono stati spesso distrutti anche alcuni cimiteri. Abbiamo intervistato una fonte bahai informata sui fatti.

(...)

- Da diversi giorni girava voce che avevano intenzione di distruggere le nostre case e darvi fuoco ed eravamo preoccupati, ma in fondo non credevamo che arrivassero a tanto. Ci siamo comunque rivolti sia al governatorato della regione, sia al prefetto (...) ci hanno assicurato che una cosa del genere non era possibile così ci è tornato un po' di ottimismo. Ma poi accidentalmente il signor Ahmad Piri si è recato presso la sua casa. All'entrata del villaggio la sua auto è stata bloccata ed è stato aggredito verbalmente e fisicamente: "perché sei venuto qui?" e ha notato che stavano abbattendo la sua casa.

- Chi stava distruggendo la casa?

- Persone del posto. Poi lo hanno allontanato dicendo di non ripresentarsi prima di 48 ore. Purtroppo dobbiamo confermare che sono state distrutte 50 case con l'aiuto di 4 bulldozer.

- Signor Derakhshan, i proprietari delle case ora come stanno vivendo? Cosa ne è dei loro mobili?

- In ogni famiglia che visito vengo accolto da lamenti e lacrime. Devo dire a onor del vero che i nostri amici non vivevano lì: erano stati deportati altrove fin dai primi anni della rivoluzione, nel 1982. Sono arrivati, li hanno rastrellati minacciandoli con pale e forconi, e gli hanno detto che dovevano diventare musulmani. Poi li hanno rinchiusi nella moschea e alla fine li hanno sfollati. Ma da allora ogni anno al momento della semina e della raccolta si presentavano nelle loro abitazioni con un permesso speciale deell'autorità giudiziaria, per periodi brevi. Sebbene la maggior parte delle terre fosse stata requisita.

- Signor Derakhshan, sta dicendo che i proprietari delle case dovevano richiedere un permesso speciale per entrare nella loro proprietà?

- Esattamente. Ogni volta che volevano recarsi nelle loro case dovevano richiedere un lasciapassare del tribunale per potervi restare due o tre giorni. A qualunque autorità ci siamo rivolti abbiamo incontrato ostilità e disinteresse. Abbiamo scritto una lettera in cui denunciavamo il fatto che ci stavano demolendo le case, ma ci è stato detto che la lettera stessa prefigurava reato di sedizione contro lo stato islamico e che avrebbero potuto arrestarci. Li abbiamo pregati. Abbiamo detto che noi non siamo inglesi, non siamo americani, non siamo israeliani, siamo cittadini iraniani, vostri compatrioti, cosa dobbiamo fare...

- Signor Derakhshan, le persone che hanno distrutto le vostre case, sono più gente del posto o persone legate alle autorità?

- Lei cosa immagina? Secondo lei come si fa ad abbattere cinquanta cascine, ciascuna con una stalla e una legnaia, senza una minuziosa organizzazione? Noi abbiamo denunciato la cosa sia prima che durante la demolizione. Come pensa che sia andata?

- I bulldozer erano mezzi della regione o del comune?

- Non lo possiamo dire con certezza assoluta. Ciò che conta è che ormai la demolizione c'è stata. Ma c'è una cosa. Quando abbiamo riferito al governatorato che giravano voci di demolizione siamo stati accolti dal vice governatore, il quale ci ha dato una risposta interessante. Ha detto: il governatore è un po' come un medico. Quando ritiene che nel corpo della collettività ci sia un tumore dannoso per l'organismo, può tagliarlo via. Ora sono io a chiederle una cosa: i contadini bahai del nostro villaggio sono il tumore maligno della collettività?

mercoledì 23 giugno 2010

La lite continua - parte seconda


E' di ieri la notizia di un nuovo scontro interno al regime, che stavolta vede contrapposti gli ultras di Ahmadinejad e il Parlamento (Majles). Se ricordate nel post del 19 giugno si diceva che l'istituzione del regime più vicino ad abbandonare il campo è proprio il Majles.

Notare che il Majles è dominato da una maggioranza conservatrice, e pressappoco tutti i deputati devono la loro posizione direttamente all'approvazione del Consiglio dei Guardiani (il quale a sua volta è nominato per 6/12 da Khamenei). Sicché il Majles non fa nulla che non sia già stato approvato da Khamenei e dal Consiglio. Proprio per questo lo scontro diventa assai significativo.

Il "casus belli" è stato il rinnovo delle autorizzazioni all'Università Indipendente, rinnovo che è di competenza del Majles. Si tratta di un'università non legata al governo, fondata per volontà dell'ayatollah Rafsanjani, ed è una vera e propria roccaforte ideologica del riformismo (sebbene un po' lo siano tutte le università del paese).

I fedelissimi di Ahmadinejad avrebbero voluto che l'autorizzazione all'insegnamento venisse negata, e l'hanno presa molto male. Talmente male che i giornali filogovernativi hanno coperto di insulti il Majles, e in particolare il suo speaker Larijani. Arrivando a promettere che avrebbero preso il parlamento a cannonate [*].

Larijani per tutta risposta ha fatto notare che le decisioni del Majles, una volta approvate dal Consiglio dei Guardiani, sono legge dello Stato alla quale il governo deve obbedienza. In altre parole Larijani ha fatto detto chiaramente che ha dietro le spalle Khamenei e il Consiglio. Ma gli squadristi di Ahmadinejad questo lo sapevano già, quindi la risposta di Larijani è a sua volta il tentativo di mostrare forza.

Riassumendo: ci troviamo di fronte ad uno scontro interno al regime. Lo scontro per ora vede confrontarsi Khamenei, il parlamento e il Consiglio dei Guardiani da una parte, e il governo e le squadre di militanti fedeli ad Ahmadinejad dall'altra. I Pasdaran per ora non parlano. 

Il movimento di opposizione, in piena salute, è alla finestra che si gode lo spettacolo. I commenti oscillano tra l'incredulo e il "ci pensano loro ad abbattersi da soli", in generale consci del fatto che la caparbia resistenza inizia a dare frutti e in attesa di prese di posizione ufficiali da parte di Mousavi e Karroubi.

[*] Si tratta di una minaccia con un preciso riferimento storico. Nel 1908 il Parlamento venne fatto bombardare da Mohammad Ali Shah della dinastia Qajar. All'operazione presero parte truppe russe.

domenica 20 giugno 2010

Lite continua

Ad integrazione del post precedente e a titolo di esempio.

La notizia del giorno è la lite di Ahmadinejad con la parte ultra religiosa del suo schieramento, in particolare con l'ayatollah Jannati.

In un discorso pubblico, Ahmadinejad ha detto che non è compito del governo intervenire per far rispettare alle donne l'obbligo del velo islamico, suscitando il fastidio dell'ayatollah il quale ha sottolineato che il compito del governo è far rispettare la legge e quella sull'abbigliamento femminile è una legge.

Come si deve leggere questa notizia? Se si è capito il post precedente tutto diventa chiaro. L'obiettivo di Ahmadinejad è quello di far transitare l'Iran da repubblica islamica a dittatura presidenziale di tipo baathista, mentre l'obiettivo degli hardliner religiosi è quello di approdare ad una specie di califfato sciita con un leader religioso a comando.

L'obiettivo di Ahmadinejad prescinde quindi dalle bizzarre regole di abbigliamento tanto care ai religiosi radicali. Anzi, è probabile che le consideri un inutile intralcio. Il nostro amico perciò sta tentando di accattivarsi le simpatie dei cittadini vicini al movimento verde, presso i quali la questione della parità dei diritti uomo-donna è molto popolare.

In altri termini vuole avere dalla sua "l'arbitro" - il blocco sociale del movimento verde - nel caso in cui con i radicali religiosi si arrivasse allo show-down. Ma questo lo mette in opposizione frontale con un suo alleato e contemporaneamente rende più forte il movimento. Esattamente ciò che si diceva nel post precedente.

Purtroppo per Ahmadinejad il movimento verde non è semplicemente una specie di "opinione pubblica" manovrabile col ricorso al populismo: è un soggetto politico con un'agenda propria.

sabato 19 giugno 2010

Il 12 giugno e l'autocoscienza del movimento


Traduco il bilancio di un anno di lotta pubblicato in una nota di facebook dal gruppo "Rivoluzione Verde".

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L'insieme degli eventi succedutisi in occasione dell'anniversario delle elezioni ha dimostrato il grado di maturità di un movimento che sa quando deve utilizzare la propria forza sociale e sa quando sfruttare le potenzialità  e opportunità politiche. L'articolo che segue analizza come il movimento è stato in grado di impedire una dannosa crisi sociale e, simultaneamente ed intelligentemente, aggravare la crisi politica del regime.

Ma prima di iniziare l'analisi è utile chiedersi: per quale motivo una manifestazione pacifica e silenziosa dovrebbe essere ritenuta pericolosa per l'incolumità fisica della gente e la sicurezza delle proprietà? Detto in altri termini: per quale ragione il regime approfitta di qualunque occasione per creare una crisi con l'obiettivo di militarizzare il paese?

Poiché è evidente che lo stesso regime viene danneggiato dalla costante presenza di una crisi politica. E' un po' come un autista che, criticato per come guida, volesse zittire i passeggeri puntando a tutta velocità verso un burrone. Eppure in questi dodici mesi siamo stati testimoni della chiara volontà di aggravare la crisi in alcuni settori del regime.

La verità è che la cricca al potere non è unita come sembra. Ci sono divergenze e contraddizioni tra le sue tre componenti principali: il Leader, la Sepah e Ahmadinejad. Tuttavia gran parte di queste contraddizioni vengono tatticamente narcotizzate per confrontarsi con l'avversario comune, rappresentato dal movimento.

La cricca al potere, durante l'anno passato, ha agito nella convinzione che qualunque via d'uscita moderata e razionale dalla crisi significasse sottoscrivere la propria caduta, e per questa ragione ha impegnato tutto il potere a sua disposizione per neutralizzare il movimento verde. In questa condizione la risoluzione delle contraddizioni tra le tre componenti del regime viene procrastinata fino alla completa repressione del movimento. La ragione è che, finché il movimento è attivo, qualunque nuovo progetto politico di una qualche consistenza potrebbe condurre al rovesciamento completo del regime.

Ma per un regime che pone la propria legittimazione negli imperativi assoluti di una leadership ritenuta infallibile, e nella retorica dell'attivismo jihadista, l'immobilismo politico viene necessariamente interpretato come segno di caduta inevitabile. In quest'ottica, il movimento, a causa della propria longevità, è una costante spina nel fianco di tutte le componenti del regime. Pur non avendo raggiunto il proprio obiettivo, cioè quello di estromettere i golpisti dal palazzo, esso ha conquistato un ruolo centrale.

Il movimento non ha ancora in mano le redini del potere politico, ma ha assunto il ruolo di "arbitro" delle contraddizioni e delle rivalità del regime. Ogni volta che una delle componenti intende mettere in atto un progetto per liquidare o indebolire le altre componenti, si trova di fronte ad un attore politico attivo e socialmente influente chiamato "movimento verde". Questo semplice fatto ha tolto al regime ogni dinamismo e ne la provocato la paralisi politica: la longevità del movimento significa perciò l'immobilismo del regime su tutti i fronti.

Per parte sua il regime non ha altra via che non sia quella del far perdurare della condizione di crisi, per poter legittimamente procedere alla repressione del movimento e recuperare su questo terreno il dinamismo perduto altrove. In questo scenario il "tasso di crisi" del regime diventa inversamente proporzionale al "tasso di tranquillità" sociale: più la stabilità regna nella società civile (sebbene essa resti allerta e pronta all'azione politica), e più il regime versa in una situazione politica critica.

Prova ne è che nella situazione attuale l'attività politica degli uomini del regime si è ridotta a nient'altro che esternare opinioni ridicole riguardo al rischio sismico, al velo delle donne, o all'esplosione demografica, oppure a spedirsi reciprocamente lettere di lamentele.

La disarmonia e l'anarchia nel fronte golpista hanno raggiunto un tale livello che delle squadracce arruolate da una parte del regime impediscono ad un'altra parte del regime di commemorare l'anniversario della morte del fondatore [*]. Stando così le cose il movimento può - con costi bassissimi - usare le proprie forze in una guerra di attrito per far corrodere le forze golpiste. Ad esempio il parlamento, a maggioranza conservatrice, pur non essendo obiettivo diretto della contestazione del movimento, è l'istituzione del regime che si sta smarcando più rapidamente.

Queste considerazioni dimostrano che il regime è corroso dalla rivalità interna fin dalle sue fondamenta, e che questa condizione condurrà alla vittoria del movimento, sia che avvenga gradualmente, sia che avvenga di colpo. L'unica occasione in cui la rivalità viene accantonata è nel confronto diretto col movimento: nelle strade.

La richiesta di autorizzazione per la manifestazione del 12 giugno da parte dei leader del movimento è stato un modo raffinato per chiedere al regime di scegliere il modo di andarsene, e non quello di scegliere tra l'andare o restare. La mancata autorizzazione, e la revoca ufficiale della manifestazione da parte dei leader del movimento, preoccupati per l'incolumità della gente, ha solo reso più facile una scelta che sarebbe stata comunque opportuna tatticamente. Inoltre questa coincidenza tra i fini e i mezzi adottati dal movimento è uno dei segni della sua forza.

Ciò che si è visto per le strade il 12 giugno è stato solo una parte molto piccola della massa impiegabile dal movimento, poiché i candidati eletti dal popolo avevano chiesto ai loro rappresentati di rinunciare a manifestare. Essi hanno agito come il legittimo governo di un paese che, godendo della legittimazione popolare, non ha bisogno della forza delle armi per farsi ascoltare. Il regime, dal canto suo, ha agito come un'opposizione eversiva assolutamente minoritaria, apparsa per le strade in armi solo per dire "ci siamo ancora".

Oggi il movimento verde è una forza dinamica e pienamente cosciente delle proprie possibilità politiche. Nell'ultimo anno ha accumulato esperienza, si è fatto conoscere, ed è in grado di manovrare su diversi teatri interni ed internazionali. Dispone delle proprie reti sociali e dei propri mezzi di informazione, ed è perciò in grado di prendere decisioni o cambiare tattica in modo rapido.

Nel frattempo la gente continua a vivere la propria quotidianità mentre il regime non riesce a governare. Il palazzo è paralizzato, e per un regime in queste condizioni la scelta tra l'immobilità o l'azione si riduce ad una scelta tra l'andarsene lentamente o rapidamente.

[*] NdT - Il 4 giugno un gruppo di attivisti pro-Ahmadinejad si è infiltrato nelle commemorazioni di Khomeini con la connivenza delle forze dell'ordine. Il gruppo ha contestato violentemente il nipote dell'Ayatollah che ha simpatie pro-Moussavi, impedendogli di tenere il discorso agiografico che il protocollo prevedeva. Khamenei ha cercato di dissuaderli ma il gruppo è arrivato al confronto muso a muso persino con il leader. Al che si è sentito forte e chiaro anche uno slogan estremamente ambiguo e minaccioso per Khamenei: "Ahmadinehad, abbatti il Grande Idolo".

venerdì 11 giugno 2010

Il caso Neda: esempio di giornalismo ai tempi del web 2.0



Chissà se qualcuno capirà questa foto. Più probabile un vecchietto come me. Gli altri li lascio divertire a indovinare.

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Arash Hejazi è un medico e scrittore, diventato famoso perché filmò col suo cellulare gli ultimi istanti di vita di Neda Aghasoltan. Nel suo blog commenta oggi un reportage video su questo episodio tragico, uscito a un anno di distanza e trasmesso dalla rete nazionale iraniana.

Traduco il suo commento. Nell'articolo si riferisce spesso a se stesso in terza persona. Ne risulta una prosa piacevole, distaccata e divertita ma anche aggressiva e impietosa.

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Stasera la rete nazionale ha trasmesso un documentario dal titolo "incrocio" a proposito della morte di Neda Aghasoltan. A mio parere si tratta di un evento positivo e notevole.

Il primo giorno dopo la morte di Neda dissero che il mio filmato era falso e che Neda Aghasoltan si trovava in Grecia.

Poi dissero che un giornalista della BBC aveva inscenato il tutto per fare in modo che Neda venisse uccisa e dunque filmare l'evento.

Poi ancora l'ambasciatore della Repubblica Islamica in Messico disse che "la pallottola rinvenuta nella testa di Neda non è del tipo in dotazione in Iran!" [Neda Aghasoltan era stata colpita al cuore - ndt].

Poi il signor Zarghami [direttore della TV iraniana - ndt] ha di nuovo detto che il filmato era falso.

A questo punto si è fatto vivo il povero disgraziato chiamato Arash Hejazi che si trovava lì sulla scena. Non riuscendo più a sopportare tutta questa massa di menzogne, ha detto che il filmato non era affatto falso e che Neda era morta davanti ai suoi occhi. Poi disse che la gente sulla scena aveva preso il corpo della ragazza e lo aveva caricato su una Peugeot 206 per portarla in ospedale, ma era troppo tardi perché era già morta. Infine disse anche che, dopo che la macchina si era allontanata, la gente era riuscita ad arrestare un tizio grande e grosso e coi baffoni che urlava "non la volevo ammazzare". Gli avevano tolto la camicia e requisito il distintivo [foto a destra] dal quale si scopriva che l'agente fermato faceva parte del corpo dei Bassij e che si chiamava Abbas Kargar Javid.

A quel punto il capo della polizia - il comandante Ahmadi Moghaddam - disse che l'intera faccenda era un complotto e che del complotto fa parte lo stesso Hejazi, che è ricercato dall'Interpol.

L'Interpol ha subito dichiarato che Hejazi non è ricercato e le autorità iraniane dicono il falso. Al che il comandante Moghaddam disse che non aveva mai detto che era ricercato dall'Interpol e che questo lo hanno inventato i giornali.

Una quindicina di giorni dopo cominciarono ad apparire in rete il distintivo di Abbas Kargar Javid e anche un filmato che lo ritraeva senza la camicia mentre si allontanava in mezzo alla gente [nel filmato la gente lo sta insultando e sembra davvero un miracolo che non lo abbiano linciato sul posto, nel 1978 sarebbe morto - ndt]. Il filmato confermava la versione di Hejazi il quale, visto il distintivo, riconosceva Kargar come l'agente fermato dalla folla dopo la morte di Neda.

La risposta ufficiale è stata che Hejazi mente, che il distintivo è falso ed è stato costruito con photoshop.

Poi le sorelle del corpo femminile dei Bassij si sono presentate davanti all'ambasciata britannica inscenando una manifestazione "spontanea", a chiedere che Hejazi venisse espulso dal Regno Unito ed estradato in Iran. E che ci penseranno loro poi a farlo confessare in modo altrettanto "spontaneo". Ovviamente per questa manifestazione non è stata necessaria alcuna autorizzazione della prefettura...

Nel frattempo il ministero della cultura ha revocato alla casa editrice Karvan [appartenete a Hejazi - ndt] l'autorizzazione a pubblicare, e revocato anche il permesso alla ristampa dei libri già pubblicati, mettendo sulla strada 22 impiegati che così imparano a lavorare per certa gente. Lo stesso Hejazi è stato più volte minacciato di morte.

Ma i lorsignori non erano ancora soddisfatti. Il video di Neda e la testimonianza di Hejazi avevano avuto delle conseguenze, e tutto il mondo ormai guardava torvo la Repubblica Islamica.

Hanno perciò girato un documentario "spontaneo" e lo hanno trasmesso su press-tv, dicendo che la faccenda è andata così: Arash Hejazi e la vittima erano un commando di spie straniere. Neda si è versata il sangue sul volto usando una pompetta, così la gente ha pensato che era stata colpita da un proiettile. Poi quando sono saliti sulla 206 Hejazi ha ucciso Neda, complice anche l'autista.

Purtroppo per gli autori del documentario, poco dopo usciva un filmato montato dalla HBO in cui per la prima volta si vedeva la gente che metteva il corpo di Neda nell'auto, e Arash Hejazi non era sulla scena! [i minuti tra 4:41 e 5:03 - ndt].

Gli amici del Ministero dell'Informazione si arrabbiarono tantissimo con Arash Hejazi. Ma perché non è salito in macchina? Avrebbe dovuto essere lì a ucciderla! Adesso gliela faremo vedere. E così hanno prodotto questo documentario, "incrocio", dove mi accusano di essere un cattivo medico. Se fosse stato un bravo medico - dicono - sarebbe salito sull'auto con la ragazza colpita, così il nostro scenario precedente sarebbe stato credibile. Ora dobbiamo rifare tutto da capo!

Nel nuovo documentario non fanno nemmeno più cenno al documentario precedente, si vede che quello era saltato fuori "spontaneamente" dal cestello della press-tv! Ma il nuovo documentario è estremamente interessante, perché il governo accetta e conferma diverse cose:

1) Neda è stata veramente uccisa e non si trova in Grecia.

2) Il filmato della sua uccisione non è falso.

3) Neda è stata davvero colpita sul luogo del filmato, non faceva parte di un complotto e non teneva in mano una pompetta.

4) Arash Hejazi non è il suo assassino.

5) Diversamente da quanto affermò l'ambasciatore in Messico, Neda non è stata colpita alla testa. Anzi, non è stata nemmeno ritrovata la pallottola.

6) Più importante di tutto: Abbas Kargar Javid esiste. Quel giorno era sulla scena ("spontaneamente" perché era disarmato e non operativo) e ha anche preso un sacco di botte dalla gente. Ma visto che il signor Kargar afferma che era disarmato, e che giura di non centrare nulla, allora dice sicuramente la verità. Quindi non c'è bisogno di aprire un'inchiesta.

Si tratta comunque di un grosso passo in avanti che dimostra una cosa molto importante. Da una parte abbiamo il racconto di Arash Hejazi, e dall'altra il racconto del governo iraniano. Il governo iraniano ha cambiato diverse volte la sua versione, mentre Hejazi da sempre dice la stessa cosa e col passare dei giorni il suo racconto ha trovato conferme oggettive.

Da una parte c'è Arash Hejazi che dal testimoniare sull'omicidio di un'innocente non ha ottenuto nulla se non una coscienza pulita. Anzi ha perso tutto: la sicurezza, il lavoro, ha dovuto rifugiarsi all'estero, e non riesce nemmeno più a vedere la sua famiglia. Ma ha sempre confermato la sua versione e non ha fatto un passo indietro.

Dall'altra parte c'è il governo iraniano che ha perso ogni residua rispettabilità internazionale proprio con il martirio di Neda e la testimonianza di Hejazi, e ha cercato di inventare menzogne e disinformazione con lo scopo di salvare il salvabile.

Non è importante che dimostrino che io sono un cattivo medico, non ho mai detto di essere un buon medico. Che differenza farebbe? L'importante è che è stata uccisa una ragazza innocente. I suoi assassini passo dopo passo sono caduti nelle trappole che loro stessi avevano preparato, e più si agitano, e più vanno a fondo.

Gli assassini hanno complottato, così anche Dio ha complottato contro di loro, e Dio è il più bravo a complottare [cit. Corano - sura di Al-Umran - versetto 54 - ndt].