lunedì 15 febbraio 2010

Propaganda e organizzazione

Il povero Ebrahim Nabavi, grande attore satirico ma decisamente non un politico navigato, ha chiesto pubblicamente scusa per la famosa idea del "cavallo do troia". Lo ha fatto con eleganza e garbo prendendosi l'intera paternità della questione. Questi i suoi punti:

1) L'idea era quella di infiltrarsi senza alcun segno identificativo fin dentro a piazza Azadi, blindata dal regime per l'occasione, e una volta lì dare i propri slogan.

Si è rivelata errata per due motivi. Primo, perché è finita in contraddizione con la leadership del movimento: Mousavi aveva al contrario insistito perché il movimento manifestasse "mantenendo la propria identità". Invero Mousavi lo disse dopo la proposta di Nabavi, ma Nabavi avrebbe potuto poi ritirare la propria proposta anziché dare per sottinteso che "ubi major minor cessat".

Il secondo errore, non meno importante, è che non puoi fare un piano raffinato che esige sorpresa e dirlo in pubblico due settimane prima! Dai all'avversario il tempo di preparare le contromisore, e lo ha fatto.

2) Va anche detto che le critiche più severe all'idea di Mousavi venivano da coloro che - in genere dall'estero - si erano messi in testa di spingere la gente ad attaccare i luoghi del potere, la prigione, eccetera. Ora, queste idee sì che erano veramente stupide. Perché l'idea di Nabavi si basava sulla volontà di minimizzare le perdite umane (e in effetti non ci sono stati morti), ma l'idea di questa gente, votata al fallimento certo, avrebbe provocato centinaia d morti.

Tutto sommato è un bene che sia finalmente emersa la necessità di rafforzare la leadership del movimento. Il concetto di "ogni militante un leader" andrebbe inteso in senso tattico, non in senso strategico. Se dieci persone sono attaccate dalla polizia, devono sapere se il movimento strategicamente vuole la loro resistenza, la loro fuga, o il loro martirio. Non possono fare ognuno come gli pare.

Lo spontaneismo non è un valore in sé. E' comprensibile il senso di timore che un'opposizione iranian prova verso il semplice concetto di "leadership", ma non è necessario che la leadership sia di tipo carismatico ("carisma" è un'altra parolaccia tra l'opposizione iraniana). Una leadeship può essere rappresentativa, leggitima, ed essere condivisa dalla base in modo meditato e cosciente.

Inoltre è bene che il movimento abbia cominciato (lo noto nelle discussioni) a tornare alle proprie richieste di fondo: l'annullamento delle elezioni e la loro ripetizione sotto l'egida di una nuova procedura di osservazione, controllo e spoglio.

La sinistra del movimento non lo abbandonerà se si resterà ancorati a queste basi, ma se il movimento si sposta a sinistra perde l'appoggio - necessario - di conservatori sinceramente repubblicani come Rafsanjani, Motaheri, o per certi versi anche Rezai (il terzo candidato trombato). In quest'ottica persino slogan come "né Gaza né Libano la mia vita per l'Iran", anche se largamente condiviso dal popolo, può rappresentare un errore tattico.

Come dice Setareh Sabety in un articolo che mi è stato spedito (grazie), le dieci richieste avanzate da alcuni intellettuali iraniani che possono formare una buona base per una larghissima convergenza.

Il movimento ha un grande alleato: la grave crisi economica nella quale la cattiva e corrotta gestione di questa gente ha sprofondato il paese. E' ampiamente riconosciuto che è necessario superare questa sorta di "digital divide" tra residenti all'estero e residenti in patria, che recentemente ha "allungato la squadra" anche a causa dell'abbassamento premeditato della velocità di internet in Iran.

Bisogna prendere le contromisure. I lavoratori sono allo stremo. Oggi un sindacalista autonomo è stato condannato a tre anni di carcere perché pubblicava un giornale... è vitale presentarsi con le proprie proposte in fabbrica. Vitale.

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