giovedì 31 dicembre 2009

Ripetersi di un'esperienza fallimentare

Con il post di oggi, l'ultimo di quest'anno, concludo l'analisi iniziata ieri traducendo un articolo pubblicato sulla pagina FB "Enghelabe Sabz" (rivoluzione verde).

Come prevedibile oggi sono riprese le proteste in modo diffuso, almeno a Teheran (Vali Asr, Vanak, cimitero) con molti arresti. Il regime ha portato a Teheran nuovi giocattoli (non dei tank come sembrava leggendo televideo, ma dei blindati antisommossa pesanti con idranti). In nottata la IRNA ha cercato di fare "bulesumme" (in ligure: intorbidire le acque), raccontando la balla che Mousavi e Karoubi erano scappati. E' arrivata immediatamente la smentita degli interessati ma sono virtualmente agli arresti domiciliari.

Intanto un articolo pubblicato sul sito di Mohsen Makhmalbaf, scritto dopo aver intervistato ex impiegati dell'Ufficio della Guida oggi fuggiti all'estero, sta suscitando non poche reazioni in Iran. L'articolo elenca dettagliatamente l'immensa ricchezza del Leader: ville, aziende, titoli, collezioni, jet e auto private incluse. Una ricchezza ottenuta - rivelano gli intervistati - mediante una percentuale fatta sparire dai ricavi del petrolio. Viene evidenziato anche il ruolo del figlio Mojtaba Khamenei come mandante principale della stagione degli omicidi seriali degli intellettuali (anni novanta) in seguito alla quale l'intelligence di allora fu decapitata per eversione.

Soprattutto tenendo conto che Khamenei è detto dai suoi essere un uomo modesto, e che nessuno conosceva ad oggi la portata delle sue ricchezze, l'articolo presumibilmente finirà per causare ulteriori problemi di credibilità al Leader e il disamore di non pochi suoi "devoti". Ragion per cui da un paio di giorni questa cosa viene stampata e diffusa capillarmente dal movimento.

Ma torniamo alla traduzione, come al solito abbastanza libera, dell'analisi di Enghelabe Sabz.

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Nella situazione attuale i verdi, nonostante i divieti, organizzano manifestazioni di massa in occasione delle ricorrenze del regime. Nei giorni successivi il governo è costretto ad affrontare gravi costi materiali e politici militarizzando le strade, e viene così additato come il vero responsabile dei disagi lavorativi e quotidiani che ne conseguono.

Non c'è più alcun dubbio sul fatto che il movimento, seguendo la politica della resistenza passiva e pacifica, influenza la politica del governo e si impone ad esso. Il governo dal canto suo non riesce ad uscire dall'impasse.

Qualcuno aveva visto nella manifestazione pro-regime organizzata ieri un segno della volontà del governo di scontrarsi con il movimento a tutti i costi. Ma la paura del governo delle ricorrenze del terzo e settimo giorno dalla morte dei martiri di Ashura (27/12/09) ha trasformato la kermesse in una mossa difensiva per far tirare il fiato agli apparati di repressione.

Non sarebbe giusto negare che l'intensificazione degli arresti dei personaggi e leader di primo piano sarà un danno. Ma il movimento ha ormai trovato un suo specifico percorso e una sua organizzazione consolidata, perciò non esiste più alcun motivo di preoccupazione: il movimento proseguirà sulla sua strada con costanza, mentre il regime non è nemmeno in grado di frenarne la crescita.

Entropia

Fino al 7 dicembre il regime era una dittatura militare. Da quel giorno, e fino al 18 di dicembre, si è trasformato in un regime ideologico e ha proseguito in questo modo fino ai giorni di Tassua e Ashura.

In quei due giorni abbiamo rivisto in campo una dittatura militare, dopodiché il regime è diventato poliziesco e ha cercato di riparare allo smacco subito arrestando in massa i cittadini. Evidentemente nemmeno questa via è stata efficace, e dal 29 dicembre vediamo nuovamente in campo la dittatura militare.

Il regime è circondato da una società civile favorevole ai verdi, e per mantenersi in piedi ogni settimana cambia la sua natura più volte. Queste metamorfosi in definitiva sfibrano l'ossatura del regime e lo fanno crollare da dentro: la sostanza del governo viene distrutta principalmente da se stesso.

La metà nascosta

Ogni azione importante del movimento segna una fine e un inizio. Nel giorno di Ashura per la prima volta la gente ha preso a difendersi. In assenza di una polizia imparziale la gente ha difeso se stessa e i suoi averi da sola, non si è dispersa ed è tornata a casa solo quando ha deciso.

Ciò che è importante notare è che in quei due giorni il popolo ha mostrato al governo soltanto metà della propria furia. Ogni volta che la folla arrestava degli aggressori, metà della gente cercava di convincere l'altra metà a lasciarli andare, a non fargli del male.

Questo è un avvertimento molto serio al regime, se sapesse ascoltare. Perché è vero che ancora oggi metà della gente dice all'altra metà "lascialo andare", ma è anche vero che l'equilibrio tra queste due tendenze dipende da come agirà il regime. Si può essere in disaccordo ed esserlo in modo insanabile, ma il teppismo e lo squadrismo non sono necessari, sono scelte.

Terrorismo: un gioco pericoloso, ma per chi?

Secondo le prime testimonianze l'assassinio di Seyyed Ali Mousavi è stato eseguito con le modalità di un atto terroristico premeditato. L'esperienza insegna che, quando un regime mette mano ad una strategia simile, prima o poi i gruppi di fuoco finiscono per operare in autonomia e seguendo un'agenda propria, magari rivolgendosi contro gli stessi mandanti originari.

Nei giorni di Tassua e Ashura il sangue versato non fu conseguenza di una strategia di repressione su vasta scala, ma di azioni autonome di singoli reparti. Una strategia di terrore mirato contro i volti noti dell'opposizione o i loro famigliari, più che fermare il movimento, conduce all'isolamento del Capo dello Stato e all'impossibilità di qualunque via di uscita pacifica per la sua persona.

I gruppi di fuoco spendono un capitale che si trova nelle tasche dei capi del regime, il cui costo è un ulteriore odio popolare nei loro confronti. In compenso non portano alcun vantaggio strategico perché il movimento non fa un passo indietro.

Riflessi all'estero

Il termine "disfatta completa" è l'unico che può essere utilizzato per definire la politica estera del regime.

Qui non ci stiamo riferendo alle durissime prese di posizione dei paesi esteri contro la repressione. Ciò che è più interessante è il tono delle diplomazie di paesi come la Francia e la Russia che chiedono "a entrambe le parti" di trovare una via di uscita dalla crisi politica [la Russia in particolare ha espresso rammarico per il fatto di essere stata identificata dal movimento come mandante del golpe, il che a suo modo è molto significativo, ndt].

Oggi la politica mondiale si è convinta che il movimento verde e i suoi leader sono una forza politica stabile della società iraniana, e che il fronte golpista rappresenta solo una parte del paese. In altre parole il movimento verde non è più considerato una semplice rivolta urbana o un movimento di opinione, ma una forza politica a tutto tondo riconosciuta e rispettata nello scenario internazionale.

Infine

In questi giorni le strade sono nuovamente militarizzate. Come temeva il Leader la gente si sta abituando ad arrivare tardi al lavoro o non andarci, a prevedere del tempo quotidiano per manifestare contro il regime o per affrontare una discussione politica.

La lingua del manganello e del lacrimogeno non ha prodotto effetti apprezzabili, e il regime ha ormai poco tempo per imparare un linguaggio diverso e tentare di dialogare coi cittadini.

Il regime e il movimento hanno due possibilità di fronte: lo scontro definitivo, oppure il tentativo di trovare insieme una via di uscita. Il movimento non ha fretta, ma non vede nella parte avversa alcuna volontà di dialogo. E il tempo non scorre a favore del regime.

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3, 2, 1, BUM! 'fanculo anche al 2009 e auguri a tutti!

mercoledì 30 dicembre 2009

Momentum

Volevo fare un post diverso, più precisamente sulla galassia di sigle paramilitari iraniane. E, partendo da qui, identificare (Lenin lo farebbe) l'apparato militare-industriale al potere. Ma devo rinviare a domani per "sopravvenuta ispirazione" su un argomento differente.

Il concetto di "momentum", proveniente dal gergo strategico militare, può essere reso abbastanza correttamente col termine "iniziativa". In una campagna militare l'esercito più potente decide tempi e modi delle offensive, mentre l'esercito più debole cerca di controbattere in difesa.

Lo stesso accade nei conflitti politici, e che abbiano o meno un aspetto repressivo non importa: la parte che costringe l'altra a rispondere (anche con una maggiore repressione) agli argomenti e le iniziative che via via propone è la parte che possiede l'iniziativa. La parte che non ha modo di proporre argomenti propri perché troppo preso a confutare quelle dell'avversario è la parte in difficoltà. Detta in modo diverso, costringere i media dell'avversario a parlare di te dimostra la tua centralità politica.

Quello che è successo dal giugno 2009 in poi in Iran indica appunto un sempre maggiore "momentum" mediatico a favore del movimento verde. Ciò è evidenziato dal fatto che - dopo le prime settimane di totale silenzio - oggi le testate nazionali sono concentrate su una quotidiana lotta ideologica contro il movimento e coloro che ne individua come "capi", nel disperato tentativo di frenare il vuoto che si sta formando alle spalle del governo. La cosa si nota così tanto che i ragazzi, scherzando (ma nemmeno troppo), dicono "in fondo chi ha bisogno di giornali e TV proprie? c'è il Keyhan e la TV!".

Dove stia il "momentum" è evidente anche nel campo delle iniziative, convocazioni, marce. Oggi dopo sette mesi c'è stata una manifestazione degna di questo nome organizzata dal regime (ma aspetto conferme sui numeri). L'organizzazione della manifestazione è partita la sera dell'Ashura: lettere nominali inviate dai ministeri ai dipendenti pubblici che li 'invitavano' a partecipare, pullman organizzati che raccoglievano gente da tutto il paese per concentrarla a Teheran, l'azienda di trasporto che regala biglietti per l'occasione, senza contare il fatto non secondario che nessuno ti manganella...

Diciamo che lo schieramento favorevole al regime ha degli indubbi vantaggi, e ci sta tutto, per carità. Ciò che è importante però è che tutto questo, più che indicare un risveglio delle forze sociali favorevoli a Khamenei, mostra invece chiaramente le difficoltà politiche di quella parte, e ne mette a nudo la crisi politica. Il regime è oggi costretto dalla costante iniziativa dell'opposizione a mettere insieme tutto il consenso che può e portarlo per strada, aiutandolo con qualche lente d'ingrandimento, e per di più dopo due tentativi falliti miseramente (la manifestazione "istituzionale" della giornata di Qods, e quella pagliacciata dopo la questione della foto dell'Ayatollah Khomeini strappata).

Persino se la folla così messa insieme andasse a casa di Mousavi, lo linciasse e avvitasse la sua testa su un palo di legno, si tratterebbe di un'iniziativa dettata dalla disperazione politica. Perché poi questa gente torna a casa, negli uffici pubblici, nelle decine di città dalle quali è stata prelevata, dove respira la politica viva dell'opposizione.

Le strade di ciascuna di quelle città torneranno così al loro padrone politico: la parte che da sette mesi è in grado di schierare folle in qualunque momento, nonostante la repressione, senza dover andare a prelevare gente da Gorgan o da Miandoab, senza il possesso dei media di massa tradizionali e sostanzialmente senza un'organizzazione verticale.

Due parole sull'organizzazione "a rete" del movimento per concludere. Questa gente sembra aver letto a fondo i saggi di Negri e Hardt sulla moltitudine e sul concetto di auto-organizzazione, il che non è affatto sorprendente se si tiene conto che siamo di fronte ad una delle gioventù più istruite del mondo islamico. Ma più probabilmente è anche il medium di comunicazione utilizzato che produce naturalmente questa forma di organizzazione.

La mia sensazione, e il mio consiglio, è che i metodi organizzativi e le pratiche di lotta del movimento verde iraniano debbano essere studiati a fondo. Non si sa cosa porterà il domani, hai visto mai che possano servirvi!

martedì 29 dicembre 2009

Le istituzioni della Repubblica Islamica

Noto - non senza piacere - l'aumento del numero di viandanti che buttano l'occhio in questa umile dimora. L'ospitalità persiana ha un protocollo molto rigido: prevede che l'ospite sia invitato almeno a prendere una tazza di tè e dei dolci, e che l'invito venga ripetuto con insistenza.

Una cosa di cui mi rendo conto ora è che proprio a causa dell'aumento dei contatti diventa necessario spiegare, a grandi linee, quali siano le istituzioni principali della Repubblica Islamica e in sostanza come abbia funzionato la vita politica ordinaria del paese prima della crisi. Consideratela una tazza di tè.

Se poi ho tempo cerco di scoprire come mettere il tutto in una specie di FAQ e linkarlo separatamente.

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Il vero "capo dello Stato":

A capo dei tre poteri, e comandante supremo delle forze armate, si trova l'istituzione della "Guida della Rivoluzione". Il ruolo fu dell'Ayatollah Khomeini diciamo per acclamazione, ma la costituzione prevede che la Guida venga eletta dalla "Assemblea degli Esperti" [majlese khobregan - مجلس خبرگان - vedi sotto].

L'elezione è a vita. Il ruolo può essere rivestito solo da un Ayatollah, cioè da un teologo sciita di massimo grado [Ayatollah ol-Ozma - آیت الله العظمی]. Dal 1988 è in carica nel ruolo di Guida l'Ayatollah Alì Khamenei.

I poteri e le "linee guida" del ruolo vanno analizzate e capite bene, perché si tratta di uno dei punti più importanti del conflitto politico in atto.

La necessità costituzionale di un leader religioso fonda le sue basi su un concetto centrale per il pensiero politico dell'Ayatollah Khomeini: il concetto del "Mandato Assoluto del Teologo" [Velayate Motlagheye Faqih - ولایت مطلقه فقیه]. Va detto che questo concetto è frutto di una interpretazione (l'Islam è una religione praticamente priva di una "ortodossia" nel senso cristiano del termine). Tant'è che non mancano teologi sciiti che hanno criticato il concetto, persino in Iran.

Cercando di essere breve: i difensori radicali del ruolo di "Guida" sostengono che chi lo riveste è il rappresentante vivente del Mahdì, insomma che si tratta di un'investitura divina e che il ruolo dell'Assemblea degli Esperti è solo quello di "scoprire" colui che Dio ha già scelto.

Non mancano le critiche a questa posizione, che è tutt'altro che universalmente accettata o necessaria. Intanto sparerei sulla croce rossa (ma son sempre 10 punti...) se dicessi che le strade del paese sono oggi in mano di milioni e milioni di critici che esprimono il loro scetticismo in un argomentato "morte a Khamenei".

Non mancano nemmeno critiche giuridiche e teologiche (Mohsen Kadivar). Ma a mio modesto parere la contraddizione più palese sta proprio nella costituzione della Repubblica Islamica: lo stesso testo che dà quel po' po' di potere al Leader, negli articoli 109 e 110 della costituzione stabilisce che l'Assemblea degli Esperti possa revocare l'incarico.

A questo punto o si ammette che Dio in quel caso ha cambiato idea (non sorprendetevi, il concetto esiste nella teologia islamica, e si chiama "bid'ah" [بدعة‎], ma resta un punto teologico assai problematico col quale in genere si preferisce non aver a che fare), oppure si ammette che il ruolo non è previsto avere natura divina e che è puramente immanente.

Riassumendo: il ruolo costituzionalmente previsto di Guida della Rivoluzione oggi è fortemente in crisi e molto probabilmente non sopravvivrà a Khamenei.

L'Assemblea degli Esperti:

Come spiegato dettagliatamente sopra, l'Assemblea degli Esperti ha il potere di eleggere, annullare una decisione, o addirittura sollevare dall'incarico il Leader. Ma tutto questo non è mai accaduto proprio per evitare uno scontro tra due delle più alte istituzioni dello stato.

L'Assemblea è costituita da un centinaio di membri eletti su base regionale a suffragio universale ogni 8 anni. La Costituzione non prevede particolari requisiti per la candidatura, ma successivi regolamenti interni hanno imposto il requisito di approfondita conoscenza della legge islamica aprendo la strada ad un vaglio censorio delle candidature da parte del Consiglio dei Guardiani [showraye negahban - شورای نگهبان - vedi sotto].

L'Assemblea è attualmente presieduta dall'Ayatollah Rafsanjani, che ha posizioni moderate ed è in aperto contrasto con il presidente Ahmadinejad, uomo di Khamenei.

Consiglio dei Guardiani:

E' composto da 12 membri, sei dei quali nominati dalla Guida, e gli altri 6 eletti dal Parlamento [Maljes - مجلس] tra un gruppo di candidati indicato dal capo del potere giudiziario (a sua volta nominato dalla Guida...).

Poteri: veto su qualunque candidatura al Parlamento e alla Presidenza, veto su qualunque legge o decreto del parlamento o del governo. In pratica è l'organo esecutore di un potere di veto il cui mandante è Khamenei. In una delle ultime elezioni del Parlamento ha negato la candidabilità a 3000 candidati riformisti, praticamente consegnando il parlamento ai conservatori.

Inoltre è di sua responsabilità la supervisione e l'appello durante lo svolgimento delle elezioni, ruolo che nell'ultima tornata elettorale ha svolto in modo quanto meno discutibile.

Consiglio per il discernimento dell'interesse dello Stato:

Nome splendido. Per il resto un organo di pura consultazione in contatto con il Leader e da lui nominato, e quindi senza alcun potere istituzionale concreto. E' presieduto sempre dall'Ayatollah Rafsanjani.

Il Majles:

Il Parlamento. L'istituzione politica più antica del paese tra quelle attualmente in attività, nata nel 1906.

Concentra in sé il potere legislativo, quello di fiduciare o sfiduciare un governo, di approvarne o rifiutarne i decreti, e quello di togliere il mandato del Presidente per impeachment.

Unicamerale, attualmente conta 290 membri eletti a suffragio universale. Ma le candidature devono essere autorizzate dal Consiglio dei Guardiani. In questo momento il gruppo dei conservatori detiene la maggioranza con 170 seggi, mentre gli altri seggi sono divisi tra riformisti e indipendenti.

Il Presidente:

Capo dell'esecutivo. Nomina il premier e i ministri e li invia per la fiducia al Parlamento e coordina il lavoro dei ministeri. Eletto a suffragio universale su base uninominale, a doppio turno in caso di mancato raggiungimento della maggioranza assoluta. Resta in carica per 4 anni e per un massimo di 2 mandati.

Attualmente la carica è rivestita da Mahmoud Ahmadinejad.

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Fine del servizio pubblico!

Concludo con una nuova nota di demerito per il TG3. Questione di sfortuna dato che non guardo mai nessun TG se non un paio di volte la settimana il TG3 e La7.

Il servizio fa vedere scontri per la strada e commenta "immagini che la maggioranza degli iraniani non vedrà mai".

Ma perché questa gente non prova a lavorare? ogni tanto dico... può essere bello, persino gratificante. Invece mi trovo a fare io gratis un lavoro che questi sarebbero pagati per fare. Ma brutto cretino! la maggioranza degli iraniani è l'attore di quelle immagini! ne vede di quelle che tu non vedrai mai, tutti i giorni!

Stiamo parlando e ascoltando "ocolingo" da anni e non sappiamo nemmeno quando è cominciata.

Nuove forme di lotta

Ricevo notizie della chiusura totale del bazar di Tabriz e almeno metà del bazar di Teheran.

Per esperienza so che, almeno durante lo svilupparsi di moti rivoluzionari, le analisi dei marxisti in genere sono estremamente azzeccate e aiutano a capire la situazione sul campo. Pertanto traduco dal persiano un articolo pubblicato sulla webzine "rahe tudeh" organo del partito comunista iraniano in clandestinità.

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La violenza messa in atto dal regime in occasione delle esequie dell'Ayatollah Montazeri e delle successive ricorrenze religiose di Tassua e Ashura ha dimostrato che non esiste alcuna possibilità di imporre al popolo la ritirata per mezzo della repressione.

Detto in un altro modo il popolo non accetta più di essere governato come in passato e pertanto il regime - pur avendo provato qualunque opzione e manovra - non sarà più in grado di governare il popolo.

Nel prossimo futuro saremo testimoni, da una parte, di nuove forme di lotta e di resistenza nazionale e, dall'altra, dell'aggiungersi di nuove forze al movimento. E' presumibile che ciò avvenga tra oggi e l'anniversario della caduta della monarchia, il 22 febbraio.

Non si sta parlando di lotta armata, e le nostre parole non devono essere interpretate in questo senso, sebbene non sia affatto escluso che parte delle forze armate confluiscano nel movimento. Oltre a ciò saremo testimoni di occupazioni, di un sempre maggiore sgretolarsi della sovrastruttura religiosa del regime con una sempre più marcata presa di distanza delle "hawza" islamiche.

La gente sta aspettando ogni giorno il momento adatto per insorgere. Come in tutti i precedenti storici, gli eventi imprevisti possono trasformarsi in occasioni. Un eccellente esempio è fornito dalla morte dell'Ayatollah Montazeri: in quell'occasione la nazione ha sì dimostrato la sua riconoscenza per un personaggio vicino al popolo, per quanto egli stesso un religioso e addirittura fondatore della Repubblica Islamica. Ma ha anche dimostrato di non lasciarsi sfuggire nessuna occasione per sfidare il regime e il cuore del potere, formato ormai da un gruppo di capi miliziani e mullah di regime.

La nazione, nell'Ashura di quest'anno, non ha dato retta alla propaganda del governo che invitava a concentrarsi solo sulle cerimonie di autoflagellazione. Il popolo quest'anno non ha fatto come gli sciiti dell'Irak o dell'Afghanistan che si insanguinano la testa e la schiena con colpi di catene e sciabolate. Al contrario ha alzato il proprio pugno contro la tirannia, esattamente come suggerì di fare l'Ayatollah Khomeini nel muharram del 1978.

Così nelle manifestazioni dell'Ashura di quest'anno l'obiettivo del popolo è stata la persona di Khamenei. Non in quanto religioso ma in quanto comandante in capo delle forze armate, e in quanto protettore istituzionale del colpo di stato del 12 giugno.

Al popolo non interessa quanto Khamenei sia manipolato dai miliziani, o cosa stia passando dietro le quinte: Khamenei, in quanto comandante in capo delle forze armate, è riconosciuto come il responsabile oggettivo della repressione e del golpe.

In questo articolo di analisi, che esce con un giornale che ci vede profondamente addolorati per i caduti degli ultimi giorni, vorremmo discutere di alcune questioni che vegono poste da analisti politici stranieri. Questioni alle quali essi stessi danno delle risposte, che però non condividiamo.

Una di queste sottolinea la supposta differenza tra il movimento di oggi e i moti che portarono alla caduta dello Shah nel 1978-79. Differenza rilevata nel fatto che le classi lavoratrici non si sarebbero ancora affiancate al movimento, e che ciò sia dovuto ad una redistribuzione degli introiti del petrolio divenuto base strutturale del regime.

Ora, coloro che hanno seguito attentamente le notizie dall'Iran negli ultimi due anni sono al corrente di numerosi e crescenti episodi di lotta sindacale, occupazioni di fabbriche e scioperi, tutte represse dal regime. Sono ancora in carcere i rappresentanti sindacali dei camionisti, come pure sono ancora in carcere i leader sindacali degli insegnanti e degli infermieri...

La differenza con il 1978, semmai, è che questa volta le agitazioni dei lavoratori sono iniziate prima del diffondersi di un movimento politico di opposizione al regime, mentre nel 1978 successe il contrario. Rendersi conto di questa differenza è importante perché fa comprendere la reale diffusione della base di malcontento e dà un'idea del modo in cui la lotta proseguirà.

Nel 1978, alla fine dell'autunno e dopo l'impantanarsi dell'esercito dello Shah tutto occupato a far rispettare il coprifuoco nelle strade, iniziarono i primi scioperi e le prime occupazioni. Tra queste, quella dei petrolchimici e dei giornalisti. Lo Shah cercò di affrontare anche queste lotte con la repressione, ma questa strada non era più percorribile in quanto l'incendio della rivoluzione ormai divampava in tutto il paese.

Così gli scioperi e le occupazioni divennero la forma di lotta principale, dato che erano meno costosi in termini di vite umane. Ma in questi scioperi l'aspetto politico era prioritario rispetto all'aspetto contrattuale e salariale [*].

Questo è proprio il punto al quale si è prestato meno attenzione. La morte dell'Ayatollah Montazeri e gli eventi successivi hanno mostrato la portata del malcontento e la sua diffusione tra i più svariati strati della popolazione, sia tra le classi (persino i religiosi) sia in senso geografico (nella profonda provincia). Questo costringe la repressione volente o nolente a dividere le forze, il che finirà fatalmente per provocare un'emorragia anche tra queste stesse forze.

Sono qui che iniziano le opportunità per le nuove forme di lotta come nel 1978. L'operaio, l'insegnante, l'infermiere, e persino il negoziante del bazar, contrariamente a quel che si crede sono già schierati con il movimento, ma per ora ciascun settore sociale partecipa alle dimostrazioni nelle strade secondo le proprie priorità e possibilità.

Ciò che ancora manca - e le condizioni per ovviare a questa mancanza si stanno velocemente concretizzando - sono appunto gli scioperi e le occupazioni di fabbrica. Ed è in questo che consiste il salto qualitativo, la nuove forma di lotta, che ci dobbiamo aspettare.

[*] Tanto è vero che il regime, per nascondere l'estensione dello sciopero, arrivò a pagare lo stesso la giornata ai dipendenti pubblici che scioperavano. Episodio capitato a mio zio buonanima nell'estate del 1978, che, insieme ad altri, rifiutò il denaro.

lunedì 28 dicembre 2009

Aldo dice "26 per 1"

Quella di ieri è stata un'insurrezione. Il modo in cui la popolazione, scesa per strada in massa per la commemorazione dell'Ashura, ha affrontato le forze dell'ordine, ha avuto qualcosa di nuovo e di non visto precedentemente.

La tattica della polizia di impedire il formarsi della testa del corteo non ha funzionato molto bene stavolta, soprattutto per i numeri ma anche per una certa flessibilità tattica del movimento: anziché vedersi in un luogo di concentramento per procedere in corteo, quasi simultaneamente tutto il percorso previsto si è riempito di gente (Vali Asr in particolare), con la folla che premeva da tutte le vie e viuzze laterali travolgendo i cordoni.

Quasi dappertutto venivano distrutte le telecamere per il controllo del traffico per rendere "cieco" il nemico che, per questa ragione, ha dovuto usare molti più elicotteri.

I bassij a detta dei testimoni erano praticamente in panico. In generale si sono nascosti dietro ai pasdaran e alla polizia ordinaria. La polizia stessa poi era sempre più restia a mettere in atto una repressione chiaramente antipopolare, e vi sarebbero stati non pochi casi di diserzione. Così per la prima volta si sono viste foto della polizia antisommossa ripresa di schiena e in fuga, oppure chiusa in un angolo, inerme e incapace di organizzare cariche.

Khamenei è stato trasferito in una caserma in elicottero, probabilmente perché garantirgli la sicurezza a casa sua costava troppo in termini di uomini.

Secondo voci insistenti e diffuse lo stato maggiore delle forze armate (che essendo "di leva" vanno distinte dai Pasdaran e Bassij) avrebbe comunicato a Khamenei che - in caso di un chiaro ordine di sparare sulla gente - l'esercito avrebbe preso il potere esautorando il governo in carica.

Va detto che gli alti gradi delle forze armate sono certo fedeli al regime da molti anni, ma è anche altrettanto ovvio e logico che non abbiano nessuna voglia di legare il proprio destino personale a quello di Khamenei e Ahmadinejad (obiettivo diretto della furia popolare), macellare il popolo, e magari poi finire fucilati come i generali dello Shah. Il destino dei Pasdaran invece è già legato a quello della Guida. Volendo fare il paragone sono come la "guardia immortale" che fu l'ultima ad arrendersi l'11 febbraio 1979.

Il che mi fa pensare che la dozzina di morti di ieri tra Teheran e provincia (a parte l'assassinio premeditato del nipote di Mousavi) fossero episodi locali: ad esempio qualche reparto alle strette o in fuga che perde il controllo e reagisce sparando. Perché, data la situazione, con l'ordine diretto di sparare i morti non sarebbero stati meno di mille.

L'insurrezione è proseguita in nottata. A Teheran, per la massima parte intorno all'ospedale dove era stato portato il corpo del nipote di Mousavi, e anche di fronte alla sede dell'IRIB (agenzia di stampa del regime). La convinzione diffusa è che ormai il regime sia un guscio vuoto, e che perdendo la televisione imploderà.

Fuori da Teheran la situazione è altrettanto tesa: Najaf Abad, città natale del recentemente defunto Ayatollah Montazeri, è talmente fuori dal controllo da giorni che il governo avrebbe dichiarato lo stato d'assedio col coprifuoco serale, ma i dettagli dello stato d'assedio andrebbero confermati. Il coprifuoco sarebbe stato dichiarato anche nella città di Arak.

Manifestazioni con gravi scontri si segnalano anche a Isfahan, Shiraz, Tabriz (4 morti), Babol (un morto) e Rasht.

Oggi molti negozi erano chiusi e molta gente non è andata al lavoro. Forse è la prova dello sciopero generale, dato che in nottata c'è stato un forte giro di 'tweets' e SMS che invitavano tutti a restare a casa oggi. Ma va anche detto che lo sciopero generale per essere duraturo necessita di una pianificazione più dettagliata.

Ultima annotazione: una grossa novità su twitter è #CN4Iran (China for Iran) che insieme a #iranelection è entrato nei trending topics per tutta la giornata. Molti utenti cinesi di twitter sono con il movimento verde iraniano e, come dicevo su FB, questa è una graditissima novità.

Infine: pessima la copertura del TG3 come avevo già scritto nella mia pagina FB. Dice il servizio: "l'opposizione questa volta era preparata con armi da arti marziali", e inquadra la foto di un flagellante della processione di Ashura... Il genio aveva preso il "gatto a nove code" del flagellante per il "nunchaku" di Bruce Lee, già che siamo in tema di Cina!

domenica 27 dicembre 2009

Assassinio premeditato di Ali Mousavi


Traduco in italiano un testo pubblicato sulla pagina Facebook "Enghelabe Sabz" (rivoluzione verde). Il testo porta la firma di Mohsen Makhmalbaf, regista dissidente.

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I dettagli del martirio di Seyyed Alì Mousavi Habibi (nipote di Mir Hossein Mousavi).

Nei giorni scorsi Seyyed Alì Mousavi aveva ricevuto numerose minacce di morte per telefono. La sua famiglia ne era al corrente e si dichiarava preoccupata del fatto.

Stamattina, giorno di Ashura, una pattuglia investe alcune persone davanti alla casa di Seyyed Ali e dalla macchina scendono 5 uomini armati. Il più vicino colpisce Seyyed Ali al cuore con un colpo di pistola a bruciapelo, tanto da vicino che il proiettile esce dalla schiena. Poi i cinque saltano in macchina e fuggono via.

Il cognato di Seyyed Ali lo carica su un'auto e cerca di raggiungere l'ospedale ma la vittima muore durante il tragitto. Stasera le forze dell'ordine sono andate all'obitorio dell'ospedale per farsi consegnare il corpo con la scusa che verrà consegnato al coroner del carcere di Kahrizak [di fronte all'ospedale si sono accesi scontri violenti tra manifestanti e polizia, ndt].

Inoltre hanno minacciato la famiglia del defunto diffidandola dal tenere funerali pubblici. E' probabile che lo seppelliscano loro stessi stanotte per evitare cerimonie.

Seyyed Ali Mousavi aveva 43 anni, lascia moglie, una figlia di 17 anni e un figlio di 7. Suo fratello Ibrahim cadde martire durante la guerra [contro l'Irak - ndt]. La famiglia ritiene che si tratti di un atto terroristico volto ad influenzare Mir Hossein Mousavi e la sua famiglia.

Dato che il regime ha rapito i corpi dei martiri del giorno di Ashura, il popolo organizzerà le commemorazioni per le strade in tutto il paese. I percorsi sono gli stessi di oggi.

La foto pubblicata è della settimana prima della giornata di Al-Quds [un paio di mesi fa - ndt] e ritrae Seyyed Ali Mousavi in compagnia dello zio Mir Hossein.

Mohsen Makhmalbaf

"La Carmagnole" persiana

Carico una poesia di Mohammad Taghi Bahar "principe dei poeti", cantata e arrangiata in modo sublime dal maestro Shajarian e gruppo. L'esecuzione è di un paio di anni fa a Teheran. Si trattava di un concerto di beneficenza in occasiuone del terremoto di Bam.


venerdì 25 dicembre 2009

Democrazia, modernità, rivoluzione e Islam in Iran

Argomento ambizioso, ammetto.

Intanto ringrazio Malek per essere intervenuto e mi scuso per il ritardo. La sua replica meritava un approfondimento a parte perciò ho preferito rispondere aprendo questo nuovo post.

Premetto che l'argomento mi è venuto in mente grazie ad un saggio di Emmanuel Todd e Youssef Courbage, che devo ancora leggere ma che mi sembra interessantissimo. Il saggio si chiama "Incontro delle Civiltà" e, partendo da un'analisi puramente socio-demografica (natalità, istruzione femminile...), cerca di dimostrare che la conflittualità tra occidente e Islam è frutto di un abbaglio destinato ad essere superato in modo naturale. In parte vedo la conferma di queste tesi nell'evoluzione che ha avuto l'Iran da quando sono nato.

L'argomento poi se sia possibile o meno una "modernità non-occidentale" è vecchissimo ma al momento lo lascerei fuori perché allargherebbe troppo il discorso.

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Resterei generico sulla natura dei "bisogni insoddisfatti" che causano una rivoluzione popolare. Secondo la Arendt ci sono due condizioni necessarie perché scoppi una rivoluzione. Certamente ci vuole una diffusa insoddisfazione, ma da sola non basta. E' anche necessaria la convinzione che la propria insoddisfazione non deriva da una "condizione naturale", insomma che la situazione può essere resa diversa con un'azione collettiva.

In Iran questa seconda convinzione ha radici religiose: la tirannia non è voluta da Dio, è stata sempre avversata dai suoi profeti e dai 12 imam. Perciò essa non è nell'ordine naturale delle cose. Pur non conoscendo benissimo le singole realtà arabe mi è parso di notare che la seconda condizione, la convinzione che le cose possano e debbano essere cambiate, è in genere assente anche in presenza di un'insoddisfazione popolare.

Giustamente come fa notare Malek non sempre: l'essere dominati dallo straniero scatena il senso di critica verso il governo occupante. Ne sono un esempio episodi e movimenti di resistenza anticoloniale nel sud del Mediterraneo, da Omar al-Mukhtar in Libia fino all'FLN in Algeria. E poi gli esempi dell'Iraq occupato o della Palestina. Ma la stessa visione critica sembra assopirsi quando non si è governati dallo straniero: una tirannia o una democrazia zoppa sembrano allora appartenere all'ordine naturale delle cose purché il tiranno sia "nostro".

Sento di dover analizzare alcune eccezioni. La prima è l'Egitto. Lì però l'opposizione ha più natura cospirativa che popolare (e la rivoluzione non è cospirazione). Oltretutto, data la storia recente del paese e i conflitti con Israele, l'opposizione ha ancora aspetti fortemente "revanchisti". Cioè si connota più come lotta contro lo straniero, che non come critica ad un presidente a vita colpevole semmai di non essere abbastanza duro col nemico.

La seconda eccezione è l'Algeria dove, dopo una prima vittoria elettorale (una vittoria in quei termini può essere l'inizio di una rivoluzione di massa), l'estrema violenza del movimento islamico nei confronti della popolazione non schierata ha dato praticamente ragione alla violentissima repressione militare.

In entrambi i casi si è trattato di movimenti del tutto diversi dai moti che hanno agitato l'Iran dagli inizi del ventesimo secolo: l'obiettivo del FIS algerino, ad esempio, non era quello ottenere una democrazia fondata (e giustificata) dalla tradizione islamica. Piuttosto era quello di imporre a un intero popolo una tradizione vissuta in modo autoritario.

In Iran invece è diffusissima l'idea che il concetto di sovranità popolare trova conferma nella tradizione islamica.

Il governante (حاکم) gode di legittimazione religiosa (مشروع) a patto che goda anche di legittimazione popolare (مقبول). Comunque sia, rivestire quella carica non lo rende mai infallibile (معصوم), e dunque resta un uomo criticabile. Questa ad esempio è la visione di Montazeri, che fu un Marjà di altissimo livello con molti "imitatori" (مقلد) tra gli stessi pasdaran.

Probabilmente hai ragione sul fatto che lo sciismo aiuta molto ad avere questo concetto rivoluzionario della tradizione. Che io sappia comunque non esistono altri casi, nel mondo islamico, di dottrine che intendano raggiungere la modernità attraverso la tradizione. La Turchia ad esempio è molto moderna ma non conta, ed è ovvio il perché: cosa c'è di "tradizionale" nell'abbandonare persino l'alfabeto in cui i tuoi padri hanno scritto le loro poesie?

Non che questa visione sia propria di tutto in popolo iraniano, anzi. Nella rivoluzione del 1979 c'èra molta ambiguità in proposito: era presente certamente la tendenza democratica appena descritta, ma era fortemente presente anche la tendenza reazionaria, quella assimilabile al FIS algerino.

Queste due componenti non arrivarono mai al conflitto aperto fino ad oggi. La guerra con l'Iraq e il terrorismo cieco dei mujahedin del popolo li costrinsero a convivere. Poi negli anni '90 la componente democratica scoprì di avere un consenso massiccio nel paese. Ma scoprì anche che non avrebbe mai potuto riformare il paese seguendo un iter legale, a causa di "monsieur veto" Khamenei e dell'istituzione che incarnava.

Tra il 2001 e il 2002 la situazione in Iran era già "pre-rivoluzionaria" a mio parere. Ma poi ci si mise quell'imbecille di Bush a far sì che le due componenti politiche della Repubblica Islamica si compattassero. Così oggi, sepolto Bush, la componente autoritaria e quella democratica sembrano quelle coppie che hanno vissuto per anni insieme odiandosi, e ora che i figli sono tutti cresciuti non solo divorziano ma si tirano pure i piatti.

Nell'area del Golfo l'esempio iraniano è stato vissuto come un imbarazzante pericolo da parte dell'estabilishment dei paesi arabi, a partire dal 1979. Un po' come le monarchie dell'ancien regime reagirono alla Francia repubblicana. Ciò fra l'altro fu la rovina di Saddam Hussein: un laico totale, spinto a invadere l'Iran trasformandosi nel braccio armato dell'ancien regime islamico.

La cosa che salta all'occhio nei moti di oggi è nuovamente l'imbarazzo delle stesse monarchie. Da una parte Ahmadinejad e Khamenei sono visti come nemici e fonte di instabilità nella regione. Dall'altra però, vedere nuovamente una rivoluzione che trionfa in Iran potrebbe essere pericoloso in prospettiva se il popolo iniziasse a pensare "ehi, allora è possibile!".

Sembra inarrestabile


La stupidità delle dittature:

Quando vedi che quasi un milione di persone sono scese per strada a commemorare l'ayatollah Montazeri a Qom e Najafabad, o leggi che il governo ha dovuto usare la forza per disperdere la folla alla commemorazione del religioso a Zanjan, ti viene facile commentare che il regime si sta sbriciolando.

Insomma Qom è la capitale religiosa del paese, Najafabad e Zanjan sono profonda provincia. Per mesi la propaganda di Ahmadinejad ha sostenuto che sì, Teheran magari è con Mousavi (anche se dai risultati elettorali pubblicati non sembrava...), ma si sa che la capitale è abitata da gente corrotta dal lusso occidentale: bisogna guardare la provincia, il "vero Iran".

Ora, parliamoci chiaro, si tratta dello stesso argomento patetico che usano i repubblicani americani alla Palin: la "vera america" secondo costoro sono i bovari dell'Oklahoma e i trogloditi dello Utah. Insomma chi li vota. Non certo le coste dove - si sa - "regna la corruzione". Insomma la "vera America" corrisponde al 20% della popolazione USA ad essere generosi.

Poi fra l'altro si scopre pure che in quella "vera america" c'è un sacco di gente che ha votato per presidente un democratico nero. E si scopre che a Zanjan, ripeto Zanjan (dio come vorrei che capiste quant'è incredibile!) la gente si fa manganellare e arrestare per celebrare i funerali del singolo ayatollah in assoluto più odiato dal regime.

Sotto un'altra ottica, si può dire che la morte di Montazeri ha dato una forte accelerazione agli eventi. Il regime non prevedeva manifestazioni così massicce per la morte di un religioso che, tutto sommato, non era mai stato difeso dal popolo da vivo. Nessuno lo difese ad esempio quando la sua casa venne attaccata dalle squadracce di Khamenei qualche anno fa, o quando fu messo agli arresti domiciliari. Perché mai avrebbe dovuto - il popolo - partecipare con passione ai suoi funerali? Semplice, coglione, perché il popolo oggi ti odia!

Così viene a galla l'intima stupidità delle dittature. Le dittature sono fatte da gente che non si informa per prendere decisioni giuste: al contrario prende delle decisioni, e poi cerca di trovare elementi che la avvallino a posteriori. Le dittature sono fatte da gente che non si consulta, ma che si parla addosso solo per darsi reciprocamente ragione.

Le decisioni delle dittature sono roba tarata, come i figli di gente che si sposa tra parenti di sangue da generazioni. Così la dittatura commette errori stupidi: titolare un giornale "Montazeri è morto", senza cioè mettere l'appellativo "Grande Ayatollah", con un intento puramente offensivo, è un errore stupido. Lo stesso errore peraltro che fece cadere lo Shah.

Mandare delle condoglianze dicendo "mi sei stato avversario, ma spero lo stesso che Dio ti perdonerà per questo" è un errore molto stupido.

Una sedicente "repubblica islamica" che disperde con la forza il corteo funebre di un "Marjà" sciita di importanza internazionale, che gli vieta l'accesso alla moschea, il tutto a Zanjan e due giorni prima dell'Ashura, fa l'errore più stupido del mondo.

Senza questi errori stupidi non ci sarebbero le rivoluzioni. Ma senza questi errori stupidi il regime non sarebbe una dittatura.

Scaricato dai fedeli alleati libanesi:

Gira voce che il governo iraniano abbia chiesto all'Hezbollah libanese una specie di "azione diversiva" contro Israele e che si sia sentito rispondere con una pernacchia.

Ora, va da sé che nell'ottica stupida di una dittatura, e in quella particolarmente stupida di questa, la rivolta in Iran è opera di Israele e perciò "vediamo di attaccarli a casa loro". Oppure quanto meno poteva essere un tentativo di distogliere l'attenzione mediatica dall'Iran.

Ma non ha funzionato. Primo perché la rivolta in Iran non è opera di Israele (e viene il forte dubbio che questa gente sia ormai talmente cretina da credere lei stessa alle balle che fa scrivere ai suoi giornali). Secondo perché l'Hezbollah non ha affatto voglia di scatenare un nuovo conflitto per salvare Ahmadinejad.

Insomma, secondo questa voce, le foto dei militanti libanesi usati in Iran per reprimere le manifestazioni popolari avrebbero fatto particolarmente impressione in Libano, erodendo pesantemente consensi e appoggi politici all'Hezbollah. Nasrallah non è un cretino: sa che il suo futuro politico in Libano è legato al fatto di essere considerato tutto sommato una forza di liberazione nazionale, e ci sta che non abbia voglia di giocarsi tutto.

Tagliata la via della ritirata?

Qualche analista ritiene che le operazioni squadriste messe in atto contro la casa di Montazeri e di Sanei a Qom all'indomani dei funerali, o i duri scontri a Isfahan e Zanjan, siano in realtà un tentativo dei militari di tagliare qualunque via del ritorno a Khamenei.

Sembrerebbe cioè che il vecchio sia particolarmente incazzato coi suoi, in particolare per il fatto che il governo continua a promettergli ordine senza riuscirci. Questo aprirebbe la possibilità che decida di dare Ahmadinejad in pasto al popolo pur di salvare se stesso e la famiglia. Percorrere una sorta di "soluzione cilena" insomma.

Non bisogna essere estremisti. Non si tratterebbe di una mezza vittoria per il movimento, ma di una delle vittorie possibili. Se passa anche una sola volta il principio che il Leader si deve piegare al volere del popolo, crolla l'intera implcatura ideologica del "Velayate Faqih": l'istituzione del "Leader della rivoluzione" di conseguenza perderebbe comunque qualunque connotazione politica, e ne resterebbe soltanto l'aspetto rappresentativo. Come la monarchia britannica.

Qualche paragone col passato:

Il che mi porta a fare una piccola lezioncina di patria storia. Spesso si è confrontato la situazione politica attuale con quella del tardo periodo dello Shah. In qualche modo il paragone è interessante, ma tutto sommato scorretto.

Il paragone più corretto va fatto con la Rivoluzione Costituzionale e, in particolare, con il periodo denominato "Tirannia Minore".

Nel 1906 dopo una lunga stagione di lotte il popolo ottiene la Carta Costituzionale, firmata dal re Mozaffarar ad-din Shah. Si insedia così il primo parlamento, segnando la fine della "tirannia maggiore", cioè della monarchia assoluta.

Dopo la morte di Mozaffarar ad-din Shah è incoronato re Mohammad Ali Shah. Costui, con l'aiuto dell'artiglieria zarista, sopprime il parlamento e restaura la monarchia assoluta, ma regnerà per soli tre anni alla fine dei quali sarà costretto a fuggire all'estero. Questi tre anni sono detti "tirannia minore".

La somiglianza consisterebbe nel fatto che, in entrambi i casi, la carta costituzionale è stata tradita dall'istituzione che aveva il dovere di farla rispettare nella lettera e nello spirito: nel primo caso il monarca, nel secondo caso la "Guida".

Alla prossima.

lunedì 21 dicembre 2009

Argomenti da approfondire

1) Perché in Iran?

C'è un Islam che identifica lo stato con la volontà popolare ("Umma"). Qui l'Islam diventa democratico (attenzione: non necessariamente liberale nell'accezione occidentale del termine) e perciò rivoluzionario. Tutto ciò è simbolicamente rappresentato dalla lotta di Husayn figlio Ali contro il califfo mu'awita Yazid, concluso con la sconfitta e l'assassinio di Husayn il 10 muharram del del 61 dell'egira (10 ott. 680 A.D.). La commemorazione annuale dell'evento quest'anno cade il 27 dicembre.

C'è un Islam poi che identifica lo stato e la "Umma" con il califfato. Qui a mio parere poco cambia che si tratti di un vero monarca, o che si tratti di un presidente eletto 25 volte senza rivali. Nella sua accezione sunnita questa parte della tradizione islamica - che mortifica il popolo riducendolo ad un oggetto - è incarnato dal wahhabismo saudita.

Il confronto tra questi due islam si sta combattendo oggi in Iran. Il perché andrebbe a mio parere approfondito. E' indubbio che gli iraniani, oggi come in passato, in tutto il mondo musulmano siano il popolo più reattivo contro la tirannia, ma perché?

Sarebbe bello avere in questa indagine l'aiuto di amici e parenti di nazionalità araba. Lo considerino un invito al dialogo.


2) Reprimere non è controllare

Non lo dico io, ma un rapporto consegnato a Khamenei stesso. Il governo di Ahmadinejad è impopolare. Certo, finché le forze dell'ordine ubbidiscono, strade sono presidiate, e gli assembramenti dispersi ogni giorno, il paese sembra controllato.

Ma il rapporto in questione sottolineava come il popolo stia facendo il vuoto intorno al governo: le visite di Ahmadinejad in città con milioni di abitanti, come Mashhad o Tabriz, hanno attirato poche migliaia di persone. Notare che parliamo di manifestazioni che vengono organizzate dal governo stesso, con tanto di precettazione degli studenti delle medie e dei militari messi in borghese, e contadini pagati e portati coi pullman da fuori città. E nessuno che manganella.

Il colmo è stato raggiunto venerdì scorso in una manifestazione indetta dal governo a Teheran, sull'onda di un'emotività finta basata su una probabile bufala trasmessa dalla TV di stato: una foto di Khomeini strappata non si capisce da chi e quando. Non hanno partecipato più di diecimila persone. Persone per lo più "multi-tasking": farsi vedere nella manifestazione, poi correre a presidiare le piazze in uniforme, poi andare a cancellare gli slogan dai muri... una vitaccia.


3) Nessuno vuole essere Yazid...

...soprattutto durante il muharram in un paese sciita. Gli slogan di oggi a Qom identificavano chiaramente Khamenei nello scomodo ruolo del tiranno assassino di Husayn. Il bello è che non ci può fare niente: la repressione è esattamente ciò che farebbe Yazid, e lo sprofonderebbe sempre più in quel ruolo.

Alla prossima.

domenica 20 dicembre 2009

Addio "gatto"

E' curioso trovarsi qui, dopo trent'anni di esilio, a scrivere un "coccodrillo" su Montazeri, ed è ancora più curioso che lo si faccia dal profondo del cuore. Ma la vita è imprevedibile.

Di certo si ricorderà il "prigioniero numero 57" delle carceri politiche dello Shah (nella foto) come una delle persone più integre del suo popolo.

Le persone sono estremamente severe di fronte alla corruzione, dimenticando che essa non è altro che la volontà di fare carriera portata alle sue logiche ed estreme conseguenze. Ragion per cui lo stesso tizio, così pronto a criticare la corruzione del prossimo, accetta volentieri un "regalino" per mandare avanti una pratica oppure l'intervento di un amico per passare un concorso.

L'Ayatollah Montazeri di sicuro ha dimostrato di essere incorruttibile, dal potere prima ancora che dal denaro: delfino di Khomeini nel 1986, ha in pratica rinunciato ad una sicura carriera politica di primo piano pur di non scendere a compromessi con la sua coscienza. La sua libertà nel parlare gli ha procurato numerosi problemi, compresa la visita di squadracce del regime nella sua casa di Qom alla fine degli anni '80, e una vita passata agli arresti domiciliari per motivi di ordine pubblico. E' questa la ragione per cui tanti in Iran lo amano.

Montazeri è stato uno dei massimi "marjà" del mondo sciita. Il suo grado teologico è notevolmente superiore a quasi tutti gli ayatollah del paese, con pochissime eccezioni (e Khamenei non è tra queste).

E' stato un portavoce della parte migliore dell'Islam: quella che identifica lo stato con il popolo, e la giustizia verso il popolo con la volontà di Dio. Quella che considera il voto del popolo come "la misura" alla quale lo stato deve attenersi. Quella che identifica il voto come un "pegno", provvisoriamente nelle mani del governo, ma che alla fine va restituito al suo legittimo proprietario tale e quale è stato ricevuto.

E alla fine dei suoi giorni ha anche avuto il tempo di dichiarare "haram" - illegittima per l'Islam - l'arma nucleare. Poiché non distingue tra colpevole e innocente e viola il principio del "parcere subjectis".

La morte dell'ayatollah cade in un momento estremamente teso e cruciale. Domani ci sono i suoi funerali, ne riparleremo.