sabato 10 ottobre 2009

Nukes and spooks


Settimana scorsa, su VOA in lingua persiana, è andata in onda un'analisi sulla situazione politica. La trasmissione ha toccato diversi punti: il risultato dei colloqui sul nucleare, la situazione interna, e l'interesse dei media e delle diplomazie occidentali (argomento sfiorato qui sopra con Paola Pisi).

Non mi metto a sbobinare l'intera trasmissione, che è durata un'oretta ma ne riporto qui sotto il riassunto. Hanno partecipato alla trasmissione il solito Mohsen Sazegara e Alireza Nouri Zadeh in veste di analisti.

1) Colloqui sul nucleare

Il regime ha cercato di presentare i colloqui come un grande successo diplomatico. Analizzando a fondo, invece, la situazione sembrerebbe molto diversa.

Il gruppo del 5+1 si è ricompattato grazie al "nuovo corso" di Obama, e non ha fatto nessun passo indietro, come invece sperava il regime. Sembrerebbe certo che alla fine l'Iran sarà costretto a far concludere le ultime fasi dell'arricchimento in Russia e far supervisionare - anche con controlli a sorpresa - gli impianti esistenti.

In cambio, sul piano internazionale, la delegazione iraniana non ha ottenuto nulla. Una cena a base di pesce con Solana e un incontro di 45 minuti tra Jalili e William Burns, alla fine del quale il sottosegretario di stato americano ha salutato il suo interlocutore iraniano più o meno dicendogli "guardate che quanto ai diritti umani la vostra pagella fa un po' schifo", con un certo imbarazzo per il povero Jalili.

Non è esattamente il patto di non aggressione con gli USA che, fino a ieri, per gli iraniani era la condizione necessaria per sospendere l'arricchimento. E' difficile non parlare di capitolazione: dopo tre anni di sanzioni, che hanno causato danni immensi all'economia iraniana per non parlare dell'instabilità politica e sociale che ne è derivata, oggi si torna "in prigione senza passare dal via".

Visto con occhi di destra, il governo Ahmadinejad è privo di legittimazione interna e sta sostanzialmente svendendo il paese allo straniero. L'unica cosa che il governo riesce a fare è cercare di presentare l'incontro, sul fronte interno, come una grande vittoria. Senza convincere nessuno. In Iran ormai chiamano questi tentativi mediatici "interviste alla Saeed Sahhaf" (*).

Il tentativo politico è quello di ottenere dall'estero una legittimazione che manca all'interno, ma simili tentativi riescono raramente. Basta pensare alle difficoltà di Karzai in Afghanistan, e parliamo di uno che era ben voluto dagli americani e dagli europei fin dall'inizio.

(*) Il povero Saeed as-Sahhaf, ministro d'informazione dell'Iraq nel 2003, era diventato famoso perché negava l'attacco americano mentre a Baghdad giravano colonne di Abrams.

2) Legittimità estera di Ahmadinejad

Nel suo discorso al Cairo, e in altre occasioni, Obama si era detto disponibile all'apertura di un dialogo senza pregiudizi con la Repubblica Islamica. Ma gli eventi post-elettorali pongono seri interrogativi sulla stabilità del paese, e complicano i piani del presidente statunitense.

Tra luglio e settembre i "lobbisti" della Repubblica Islamica hanno cercato in tutti i modi di riaprire i canali diplomatici con il seguente ragionamento: Ahmadinejad gode dell'appoggio incondizionato dei Guardiani della Rivoluzione e di Khamenei. Ciò che firmerà sarà come il vangelo. Che ci sia o no una sua legittimazione democratica è un fatto secondario. In fondo cosa vi interessa se sono morti 4 ragazzini? Muore un sacco di gente anche in Cina e in Arabia Saudita. Questo ragionamento aveva convinto molte testate giornalistiche in occidente, ma la condizione necessaria era il successo della repressione.

Forse era proprio questa la ragione di un certo atteggiamento "riduttivo" di molta stampa occidentale riguardo al numero dei manifestanti durante la giornata di Al-Quds. Ma quella manifestazione ha comunque avuto un'eco fuori dal paese. Ha dimostrato che la situazione era tutt'altro che stabile. Persino Abu Mazen ha avuto parole di elogio per il popolo iraniano "che ha mostrato la sua solidarietà alla causa palestinese rifiutando però qualunque intromissione".

Non è azzardato perciò sostenere che la presenza massiccia del movimento nelle strade durante la giornata di Al-Quds ha certamente influenzato l'esito dei colloqui, vanificando i piani di quanti parlavano di situazione normalizzata.

Gli Stati Uniti, come ogni nazione, operano principalmente seguendo i propri interessi. In questo momento ci possono essere due approcci diversi verso la questione iraniana: uno, di corto respiro, potrebbe essere quello di cercare di ottenere il più possibile da un regime debole e delegittimato.

Tuttavia, in un'ottica di lungo periodo, è chiaro che sono sempre i popoli a decidere. Stringere la mano ad un regime che si trova impegnato in un conflitto durissimo con una cittadinanza irriducibile, rischia di provocare in futuro danni più grossi di quelli provocati dalla stessa operazione Ajax.

3) Il fronte interno

Uno dei punti di maggiore interesse della situazione politica attuale è il silenzio dei grandi ayatollah, che sembrerebbero aver fatto propria la massima "né con le Brigate né con lo stato". In realtà per la maggior parte cercano di prendere le distanze dal regime, tuttavia raramente in modo deciso.

La realtà è che questo regime è notevolmente più "laico" del regime dello Shah. La monarchia non ha mai cercato di uccidere Khomeini, perché uccidere un Seyyed era inaudito. Il regime islamico invece è pienamente conscio della strumentalità di certe tradizioni, quindi si comporta in modo molto più cinico. Le famiglie dei grandi ayatollah sono da tempo monitorate dai servizi segreti. Sono molto rari gli ayatollah i cui famigliari stretti non si siano in qualche modo macchiati di qualche porcheria, insomma che non siano ricattabili. Giusto i soliti Montazeri e Sane'i.

Per contro il movimento è estremamente attivo nelle scuole e nelle università dopo la riapertura, e si muove secondo due direttrici: da un lato cerca di collegare il movimento studentesco con le altre componenti sociali in lotta, dall'altro porta avanti le proprie istanze specifiche. La prima delle quali è l'espulsione degli uffici dei bassij dalle strutture universitarie.

In questa fase il movimento si sta organizzando per un confronto lungo, e cerca di rendere sempre più angusti gli spazi di manovra del regime nel paese. Il prossimo appuntamento è per il 4 novembre, anniversario della presa dell'ambasciata americana. Altro appuntamento che il regime non può militarizzare.

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