lunedì 21 settembre 2009

Zeitgeist

Mi è stata posta una questione nel post precedente che merita una risposta, perché complessa. Ovvero: per quale motivo la stampa occidentale ha minimizzato la portata delle dimostrazioni di venerdì.

Va detto che personalmente non ho avuto quell'impressione, vuoi perché recentemente approfondisco la questione iraniana direttamente dalle fonti locali, vuoi perché sono abituato a ben più alti livelli di disinteresse e cialtroneria nei media italiani.

In fondo, mi sono detto, le notizie principali si sono avute. Diverse testate inglesi e americane hanno utilizzato i filmati di youtube nei loro servizi. Persino l'interruzione del discorso televisivo di Ahmadinejad è stata riportata su Televideo. Infine mi son detto che, allo stato attuale, l'interesse occidentale per il movimento è un di più, non una condizione necessaria.

Per dire: nella sua "omelia" di fine Ramadan, ieri, Khamenei ha dichiarato che non è più possibile ritenere giuridicamente probanti le accuse a una persona, sulla base delle sole confessioni di un'altra persona! Questa è una bomba che fa crollare l'intero castello accusatorio basato sulle confessioni ottenute sotto tortura.

Una bomba che mette sotto questione l'operato della radio-televisione iraniana (RTI) diventata - dopo il 12 giugno - oltre che una specie di caserma di Pasdaran, il principale centro ideologico del golpe.

Ed è stato Khamenei in persona a far esplodere la bomba: oggi il giudice supremo dell'equivalente del TAR iraniano, riferendosi proprio al discorso di Khamenei, ha accusato la RTI di comportamento illegale per aver trasmesso le confessioni degli accusati. E nei prossimi giorni è in programma la riunione dell'Assemblea degli Esperti.

Per non parlare del fatto che venerdì, stranamente, la polizia antisommossa era gentile o quanto meno disinteressata. Gli scontri principali si sono accesi tra i cosiddetti "plaincloth" - attivisti hezbollah senza uniforme - e i manifestanti. I primi hanno avuto la peggio in diversi frangenti mentre la polizia guardava altrove, o interveniva proprio per evitare il peggio.

Aggiungiamo l'interessante concomitanza del ritiro dello scudo antimissile americano e la ferma condanna del negazionismo di Ahmadinejad da parte del Cremlino, e abbiamo un'idea abbastanza chiara di quanto il regime sia oggi sulla difensiva.

Perché Khamenei ha fatto quel discorso? Perché persino Ahmad Khatami (ultraconservatore da non confondere con l'ex presidente) imam del venerdì di Teheran, mi diventa un moderato? Perché di colpo la polizia diventa neutrale? Lo vedremo più avanti.

Ma intanto in tutto questo l'interesse dei media occidentali ha avuto un'importanza davvero secondaria. Ovviamente non voglio eludere la domanda: la stampa occidentale che si occupa dell'Iran è stata e continua ad essere cialtrona e questo va spiegato. Va inoltre definito cosa intendiamo quando parliamo di "maggioranza" in un paese come l'Iran o, più in generale, in una società.

Schumpeter e la stampa

Facendola breve costui scrisse le sue opere principali parlando della trasformazione dell'imprenditore in burocrate. Ecco, io credo che una delle principali ragioni dello stato dell'informazione oggi risieda in questa trasformazione.

Il "produttore" dell'informazione, sia che con ciò intendiamo il giornalista, sia che intendiamo il tycoon, non ama il rischio dell'innovazione. Preferisce il guadagno piccolo ma immediato e sicuro, il "giro breve". Nemmeno il giornalista ama il rischio, e spesso nemmeno l'impegno di investigare. Molto meglio scrivere commenti, opinioni, notizie di seconda mano. Insomma fare ciò che faccio io, con la differenza che io perlomeno non sono pagato e so il persiano!

Il giornalismo d'inchiesta è merce sempre più rara, ed è ancor più raro il suo "sottogruppo", il giornalismo di guerra. Per tutto il conflitto iracheno sentivo giornalisti "sul campo" che scrivevano dal cocktail-bar dell'hotel Palestine di Baghdad, quando non direttamente da Amman! Tanto valeva starsene a Roma o a New York che costavano meno.

L'industria delle news, in questo modo, diventa un semplice megafono delle dichiarazioni ufficiali. Di qualunque dichiarazione ufficiale, persino quelle del governo iraniano. Perché non fidarsi significa approfondire, approfondire significa investigare, e investigare significa - apriti cielo - lavorare. E spesso il lavoro di un giornalista è rischioso e costoso, perciò chi glielo fa fare all'editore, anche quando si trova il giornalista coscienzioso? Si scrivono due fregnacce e si vende lo stesso.

Direi che c'è anche un secondo punto.

Una parte non indifferente delle testate italiane si occupa dell'Iran e delle violazioni dei diritti dell'uomo con un preciso fine: quello di dimostrare al lettore che far aprire un kebab nel centro è estremamente pericoloso e inopportuno, figuriamoci far costruire una moschea.

Così molte testate sono interessate agli eventi iraniani solo in questa chiave di lettura: avere un motivo per odiare l'Islam e tutti i musulmani. E' ovvio che l'affidabilità dell'informazione specifica sull'Iran diventa risibile. Persino una corretta comprensione della realtà va a puttane. Tipo: hanno sparato sulla folla venerdì? no? Allora non c'è notizia! Oppure: ma se quelli gridano "Allah Akbar" sui tetti, come fanno a essere i buoni? Insomma contro chi dobbiamo scrivere?

Questa parte dell'informazione italiana non è secondaria. Forse è "maggioritaria", magari non nei numeri, ma certamente nel senso che spiegherò tra breve.

Numeri e compattezza

La posizione ufficiale del governo iraniano è che venerdì pochi facinorosi cantavano slogan fuori tema e sono stati isolati e puniti dalla folla. La posizione della maggioranza dei manifestanti è che sostanzialmente i filogovernativi erano asserragliati nell'università, circondati da una marea verde. Io sono convinto che la verità sta da qualche parte in mezzo.

Ma il punto non è questo. Non è mai stato questo, nemmeno durante e dopo le elezioni. I numeri sono importanti nelle liturgie elettorali di una democrazia stabile e collaudata, non quando ci sono "masse sociali" a confronto. Quando i verdi iraniani cantano "bugiardo" bugiardo! dov'è il tuo 62 percento?" possono anche essere una minoranza, ma dall'altra parte non risponde nessuno. La controparte sta zitta. Certo c'è una dura repressione poliziesca, ma non c'è una folla decisa e determinata a difendere il governo. E' questo il punto.

Oltretutto bisogna anche tener conto della "tara" della repressione. Ci sono sondaggi di buontemponi che dicono di aver fatto 1000 telefonate a Teheran e che Ahmadinejad avrebbe la maggioranza dei consensi. Vi dico una cosa: vivessi in Iran e squillasse il telefono a chiedermi se approvo l'operato di Ahmadinejad, IO direi di sì! Che ne so chi c'è dall'altra parte? Non voglio certo rischiare di finire nel braccio 209 di Evin a confessare che sono l'amante segreto di Golda Meyr. Mi meraviglia che non abbiano risposto sì all'unanimità! Solo un completo idiota farebbe un sondaggio del genere.

Quindi, tornando a noi, tirando le somme, e disinteressandoci dei numeri e delle percentuali, da una parte abbiamo una folla enorme, decisa, compatta. Dall'altra abbiamo forse persino una maggioranza, ma di indecisi, di gente disunita, piena di dubbi. Di gente che deve decidere da quale parte è più salutare stare, e che sta mano a mano scoprendo che è socialmente meglio stare in mezzo ai verdi.

Data la situazione, il governo diventa ondivago. Oscilla tra risposte estreme e tentativi di moderazione. Ai primi, il movimento risponde con odio e compattezza. Mentre interpreta i secondi come segni di debolezza e dimostrazioni che tenere duro paga.

La "compattezza" di una parte politica è la vera chiave di lettura di ciò che intendiamo per "maggioranza", quando usciamo dalle alchimie elettorali delle isole felici come quella in cui viviamo. Una "maggioranza" di questo tipo determina lo Zeitgeist - lo spirito del tempo - o, per usare un termine militare, ha in mano l'iniziativa.

Ma anche nei regimi democratici consolidati il controllo dello "Zeitgeist" risulta essere determinante. Così, ad esempio, sul tema dell'immigrazione in Italia si è costretti ad aver a che fare con un'atmosfera xenofoba nel suo complesso. A causa della quale diventa obbligatorio avere come interlocutori politici quei partiti e quei giornali che se ne fanno portavoce.

Ma tutto questo accade prima del voto: lo spirito dei tempi si manifesta nelle strade, nei bar, negli uffici. E solo dopo, semmai, nelle urne.

sabato 19 settembre 2009

Una giornata speciale


Confesso che ero un po' in apprensione. L'opposizione doveva dimostrare non tanto di esistere, quanto di saper ancora scendere in piazza e delegittimare il governo con la propria presenza fisica. Non era scontato. Nulla è scontato quando si parla delle masse.

Tutto ciò a distanza di quasi due mesi dall'ultima manifestazione massiccia, quella avvenuta in occasione della preghiera del Venerdì di Rafsanjani. L'occasione era fornita da una delle ricorrenze "liturgiche" del regime: la giornata di Qods, in cui si manifesta per Gerusalemme in solidarietà coi palestinesi.

Una tipica situazione cosiddetta "win-win": la manifestazione è un appuntamento importante per gli obiettivi di politica internazionale del regime. Non può assolutamente essere cancellata, pena l'ammissione pubblica di una cosa che ormai sanno tutti: che il governo non controlla il paese. Essendo una manifestazione autorizzata, dunque, non può essere repressa.

E' ovvio che il regime non può selezionare "a monte" chi partecipa, deve solo sperare che gli oppositori stiano a casa a grattarsi. Ma non è successo. E' successo invece che, anziché le solite 20-30 mila comparse di professione di ogni anno, stavolta sono apparsi una milionata di oppositori con vestiti, braccialetti, foto di Karoubi e Mousavi, e bandiere verdi. In tutto il paese.

Così l'opposizione, dopo aver espropriato il colore verde dell'Islam e "Allahu Akbar", di fatto espropria anche la manifestazione del Quds. O forse sarebbe meglio dire che si riappropria degli spazi pubblici. Quando l'altoparlante dell'organizzazione dice "morte a Israele", la massa risponde "morte alla Russia" colpevole di essere stato il primo paese a riconoscere Ahmadinejad.

Il filmato che ho postato qui sopra (ringrazio mia sorella per avermelo fornito) riguarda un pezzo della manifestazione di ieri a Teheran. E' emblematico. Il filmato inizia inquadrando un gazebo "istituzionale" di fedeli al governo. Vediamo bandiere dei Pasdaran e sentiamo l'altoparlante che invoca l'apparizione del Mahdì.

Poi la videocamera inquadra la folla verde tutta attorno al gazebo, che tuona "marg bar diktator", "morte al dittatore". La folla sovrasta il gazebo, con i corpi e con le voci. Potrebbe linciare gli occupanti in un istante, ma non lo fa. Si limita alla derisione, e dalla faccia degli occupanti traspare la coscienza di trovarsi nella parte sbagliata del mondo.

La derisione è sottolineata dal regista con una marcetta che accompagna la scansione ritmica delle parole "marg bar diktator". L'effetto è impietoso: epico e satirico allo stesso tempo. Il risultato narrativo implicito è che il Mahdì è apparso sotto forma di questa marea, e vi sta facendo un mazzo così, solo che siete troppo ottusi per accorgervene!

Il riapproriamento degli spazi pubblici da pate dell'opposizione, ieri, era tale da aver reso impossibile il lavoro delle reti televisive nazionali. La prima rete si è ritrovata a dover interrompere un'intervista in diretta ad Ahmadinejad. La sua voce era coperta dal l'imbarazzante coro "dimissioni! dimissioni!" proveniente dalla manifestazione alle sue spalle.

Ahmadinejad era visibilmente nervoso. Il suo discorso dal palco è durato una ventina di minuti e sostanzialmente si è limitato a negare l'olocausto, mentre fuori - nel mondo reale - lo slogan più gettonato della manifestazione era "non Gaza, non Libano: la mia vita per l'Iran".

Tutte le sei reti ad un certo punto hanno smesso di trasmettere in diretta le immagini della manifestazione: era impossibile non inquadrare le bandiere verdi e zittire gli slogan del movimento, e va notato che per la TV nazionale non esiste ufficialmente alcun movimento di opposizione in Iran ma un complotto ormai sconfitto dalle forze dell'ordine...

Allo stadio Azadi c'era un'importante partita del campionato. La TV ha dovuto trasmettere le immagini in differita e in bianco-nero così non si vedeva il verde sugli spalti! Insomma avanti così, a Teheran, Isfahan, Mashhad, Shiraz, Tabriz, Rasht, Kermanshah, Ahvaz e persino a Qom.

La giornata si è svolta in modo relativamente tranquillo, almeno a Teheran. Se si fa eccezione al fatto che c'è stato un attentato alla vita di Khatami: un assalitore armato di coltello ha cercato di colpirlo ma la folla lo ha fermato, almeno questo è quanto si vede dalle foto e si racconta. Sono apparsi tra la folla anche Mousavi e Karoubi.

Tutto sommato si è avverato ciò che avevo previsto un paio di mesi fa: non si possono fare manifestazioni da centinaia di migliaia di persone tutti i giorni. Nel quotidiano, la lotta alla dittatura assume la forma di "attrito": graffiti, tazebao, roba del genere. Le manifestazioni di massa vanno organizzate bene, e questa era organizzata bene. L'Iran ha molte ricorrenze in cui non è possibile impedire alla gente di scendere per strada.

Insomma bisogna andare avanti così per sei mesi, un anno, e nel frattempo preparare il terreno per arrivare allo sciopero generale. Salvo la possibilità remota e improbabile di un passo indietro del governo.

sabato 5 settembre 2009

Le colonne della società - la religione

Facciamo un riassunto. Nei post precedenti ho cercato di chiarire quale sia la base sociale del regime e della resistenza al regime, in Iran. Per farlo, sono partito da dove mi fa partire la mia formazione europea. Sono partito dall'economia.


La conclusione di quella breve analisi è stata questa: la trasformazione della Repubblica Islamica in Regime Islamico si basa sul tentativo da parte dei Pasdaran di controllare l'economia del paese, espropriando e privatizzando a proprio favore i beni collettivi dello stato. Oppure, che è un altro modo di dire la stessa cosa, restringendo il concetto di "stato" a una parte minoritaria del paese e di fatto facendolo coincidere con se stessi.

Abbiamo anche visto come l'origine di questo male risieda nella profonda militarizzazione delle masse dopo la rivoluzione, in seguito alla lunga guerra con l'Irak. Ciò ha consentito ai reparti paramilitari della rivoluzione - i Pasdaran appunto - di prendere il sopravvento sull'ideologia.

Ma è ancora una teocrazia, l'Iran?

La domanda a questo punto è necessaria. Cos'è che rende l'Iran una teocrazia? Non certo la Shar'ia. La Shar'ia in dosi diverse è presente un tutti i paesi a maggioranza musulmana e, detto per inciso, l'Iran non è nemmeno tra i peggio messi. Non è questo il discrimine. Ciò che fa dell'Iran una teocrazia è che, secondo la costituzione, i membri di tre importantissime istituzioni del paese sono scelti tra il clero sciita: il Consiglio dei Guardiani, l'Assemblea degli Esperti, e la Guida della Rivoluzione.

Secondo questa distribuzione dei poteri - che si rifà direttamente al concetto khomieinista del "Velayate Faqih" (governo del teologo) - si stabiliva che la gnosi religiosa dovesse svolgere la funzione di guida ideologica del paese, esprimendosi attraverso un meccanismo di reciproco controllo e consultazione tra i tre organi citati. In parole povere: non era lo stato a governare sull'ideologia religiosa, ma il contrario. Questo si intende per teocrazia e per khomeinismo.

Oggi nei fatti questo costrutto giuridico è venuto meno. Se uno dei tre organi religiosi, nello svolgere le sue funzioni costituzionali e seguendo liberamente la propria coscienza, danneggiasse gli interessi dell'Arma, i suoi membri verrebbero arrestati e dopo alcuni mesi di torture sbucherebbero in TV a confessare di aver venduto le proprie mamme a un nano. L'istituzione verrebbe occupata da uomini vicini all'Arma, e le sue decisioni verrebbero riviste in senso ad essa favorevole.

E' l'Arma ormai a governare sulla religione. Ciò - per quanto possa sembrare assurdo - rende il paese molto più simile all'Iran dello Shah che a quello di Khomeini. Riprenderemo il discorso nel prossimo post, con qualche notizia fresca a supporto della tesi.

venerdì 4 settembre 2009

Intervallo

Qualcuno mi ha chiesto chi sono le 9 persone ritratte nelle immagini qui a destra, nella sezione "santi patroni di questo blog". Da sinistra a destra, fila alta:

1) Fatemeh Baraghani, detta Tahereh (pura) Qurrat'ul Ayn (piacere della vista): prima donna persiana a togliersi il velo nel lontano 1850. Assassinata nel 1852.

2) Khosrow Golesorkhi: intellettuale comunista. Condannato a morte nel 1974, trentenne, accusato di un non meglio specificato attentato contro l'erede al trono. Non si autoaccusò e non chiese clemenza durante il processo e così la condanna venne eseguita. Un amico di famiglia.

3) Forugh Farrokhzad: poetessa proto-femminista persiana.

4) Samad Behrangi: scrittore socialista azerbaijano. Il suo racconto per l'infanzia "il pesciolino nero" era tra i titoli messi all'indice, ma era tra le cose che mamma e papà mi leggevano prima di andare a letto.

5) Sattar Khan e Bagher Khan: patrioti e comandanti azerbaijani della Rivoluzione Costituzionale del 1905.

6) Mirza Kuchik Khan: guerrigliero delle foreste del nord, fondò la repubblica socialista autonoma del Gilan sconfitta poi da Reza Khan Pahlavi nel 1921.

7) Ahmad Shamloo: il più importante poeta persiano della seconda metà del ventesimo secolo. Quando avevo 4 anni veniva a trovarci e mi prendeva in braccio. Conoscevo a memoria la sua poesia "le figlie di mamma-mare" e gliela recitavo. La poesia poi diede nome a una sua antologia.

8) Mohammad Mosaddegh: primo ministro eletto dal parlamento tra il 1951 e il 1953. Nazionalizzò la Anglo-Iranian Oil Company che divenne la National Iranian Oil Company. Deposto da un colpo di stato militare ordito dalla CIA (operazione Ajax) ed eseguito dal generale Zahedi e dalle squadracce di tale Shaaban Jafari detto "il demente"...

mercoledì 2 settembre 2009

Le colonne della società - "the real thing" (ovvero "la struttura")


Come promesso, traduco un articolo dalla webzine "Rahe Tudeh" organo del partito marxista-leninista iraniano in clandestinità. L'articolo a mio parere metterà la pietra tombale sull'idiozia avanzata da molta sinistra antagonista-griffata occidentale: un'idiozia che vede in Ahmadinejad il difensore delle classi oppresse, e nel movimento verde una sorta di reazione filo-imperialista.

Prima però vorrei citare l'articolo 44 della costituzione della Repubblica Islamica dell'Iran, perché più sotto se ne parla e giova conoscerlo. L'articolo 44 recita quanto segue:

"L'ordinamento economico della Repubblica Islamica si basa sulla compresenza di tre settori dettagliatamente regolamentati: il settore statale, il settore cooperativo, ed il settore privato.

Il settore statale comprende l'industria pesante, il commercio estero, le grandi miniere, banche, assicurazioni, energia, le grandi infrastrutture idriche, radio e televisione, poste e telefonia, aeronautica, marina, ferrovie, etc. Tutti questi settori sono gestiti dallo stato sotto forma di proprietà collettiva.

Il settore privato gestisce attività quali ad esempio agricoltura, allevamento, manifattura, artigianato e servizi, che completano le attività economiche statali e cooperative.

La proprietà privata, in questi tre settori, è protetta dalla legge dello stato nella misura in cui non contraddica altri principi costituzionali, non esca dal quadro normativo islamico, produca benessere e progresso al paese e non danneggi l'interesse collettivo.

La regolamentazione e l'organizzazione dettagliata dei tre settori è lasciata alla legge ordinaria."

Questo articolo della Costituzione dà all'economia iraniana un'impronta fortemente collettivista. "Rahe Tudeh" informa del tentativo del primo governo di Ahmadinejad - l'eroe dell'anti-imperialismo da aperitivo in via Vittorio Veneto - di riformarne il contenuto in senso liberista, e potrei finire il post qui...

Buona lettura!

***

Non è certo per amor di dio che hanno fatto un golpe!

Ci chiedono da più parti quale sia la base economica del colpo di stato operato il 12 giugno scorso contro l'esito reale delle elezioni e la persona di Mir Hossein Moussavi.

La nostra risposta a questi lettori di "Rahe Tudeh" e a chiunque sia interessato alla questione, è che quella base andava seguita passo dopo passo negli anni, per non restare sorpresi oggi. Essa non si è formata in una notte. La sua evoluzione è durata tre decenni, e l'amministrazione Ahmadinejad si è limitata ad accelerare il processo.

Durante gli ultimi 4 anni, quando Ahmadinejad mise sul tavolo la questione di una modifica dell'articolo 44 della costituzione [vd. sopra - ndt], e parlò del passaggio delle unità produttive nazionali in mani private, noi scrivemmo che era in atto una ristrutturazione del capitale: l'arma dei Pasdaran aveva creato delle società private, tramite le quali aveva iniziato ad acquisire quote in attività statali svendute dal governo.

Alcuni si erano persino convinti che questa riorganizzazione fosse una forma di socialismo dall'alto! A costoro rispondemmo che si trattava invece di una politica economica corporativa e fascista, che avrebbe presto dato forma ad un'oligarchia economico-politico-militare.

L'arma dei Pasdaran ha le mani in pasta sia nel budget governativo sia in quello militare. Essa ha creato decine di società private, riferibili a personaggi ad essa vicini, nel settore petrolifero, del gas naturale, del petrolchimico, dell'auto. Ha altresì una forte presenza tra gli organi di controllo della borsa ed in sostanza mira al controllo completo dell'economia del paese. Era perciò assolutamente naturale che che entrasse in campo direttamente, contro qualunque ostacolo sulla sua strada.

Tutta la speranza di chi si opponeva a questo processo era riposta in una vasta partecipazione popolare alle elezioni presidenziali, il cui risultato avrebbe potuto essere una diga contro questa politica.

(...)

Ma la lobby militare-industriale era talmente coinvolta con l'amministrazione Ahmadinejad da mettere in piedi un golpe elettorale. Ciò che costoro non si aspettavano era la resistenza massiccia del popolo, di milioni di cittadini che si sono riversati nelle strade. I tragici eventi successivi hanno dimostrato fino a che punto la lobby intenda arrivare contro ogni ostacolo popolare a questa politica.

Era per questa ragione che, per tutto il periodo dell'amministrazione di Ahmadinejad, insistevamo sul fatto che qui non è questione di persone ma di politiche. Ed è contro questa politica che il popolo va informato e portato nelle strade.

(...)

L'aggressione dell'esercito iracheno e la successiva continuazione della guerra in terra d'Iraq per 8 lunghi anni è stato il singolo evento più importante per la storia del paese dopo la rivoluzione del 1979. La guerra non è solo costata 1 milione di morti e invalidi e 1000 miliardi di dollari di danni: essa ha avuto come conseguenza diretta la militarizzazione della Repubblica Islamica ed il controllo dei Pasdaran sulle sorti della rivoluzione.

La ricchezza dell'Iran è stata sacrificata sulla via di questa militarizzazione non solo durante gli anni di guerra, ma anche negli anni successivi, sotto forma di budget ufficiali e segreti. L'industria militare si è sviluppata assai rapidamente mentre spariva l'industria produttiva.

Il traffico internazionale d'armi da una parte ha messo in contatto i pasdaran con la rete del crimine organizzato internazionale, mentre l'organizzazione dei traffici, negli anni post-bellici, si è riconvertita in commerci specializzati nella gestione del denaro pubblico. Sono state create decine e decine di società, riferibili ai Pasdaran, finalizzate all'importazione di beni che potrebbero essere prodotti nel paese. L'Arma è divenuta di fatto una mafia che vive di rendita. Una mafia la cui testa è - in ultimo - sbucata nelle attività del settore nucleare.

(...)

Alcuni ingenui hanno creduto che la politica filonucleare dei comandanti dei Pasdaran sia in realtà la difesa di una conquista nazionale finalizzata alla lotta contro l'imperialismo statunitense. Ma l'appartenenza di classe di questi comandanti dimostra con sufficiente precisione quanto siano sinceri i loro slogan e le loro asserzioni.

(...)

***

La prossima volta analizzeremo la seconda colonna, la religione.

Le colonne della società - l'economia

Cominciamo ora ad analizzare berevemente le "colonne della società" in Iran, partendo dall'economia. Il nostro obiettivo sarà quello di determinare in che modo questa colonna regga la società, e se essa prediliga il regime golpista o il movimento post-modrenista verde.

A logica si potrebbe pensare che l'azienda più importante in Iran sia la Compagnia Petrolifera Nazionale (NIOC). Per certi versi questo è vero ma ai fini della nostra analisi, se identifichiamo "importanza" con "potere politico", l'idea risulta essere errata. Difatti la NIOC è un'azienda politicamente in vista e la sua gestione discrezionale in genere è molto difficile. Ciò fa sì che la NIOC non sia una fonte di potere in proprio: essa è la preda, non il predatore.

La borghesia iraniana, come ogni borghesia, è conservatrice. Nel senso che predilige la stabilità politica. Ovviamente ciò ha un limite dettato dagli interessi della borghesia stessa: quando la stabilità politica minaccia i suoi interessi, la borghesia è estremamente efficiente nel rovesciare il tavolo e scatenare rivoluzioni.

Come detto in uno dei miei primi post, oggi in Iran esistono due borghesie. Una, quella che chiamo "post-moderna", composta dalla piccola e media borghesia urbana. E' progressista e compone la spina dorsale del movimento verde. Si tratta di quella parte della borghesia i cui interessi economici sono minacciati dalla stabilità del regime [1]. Essa pertanto si è dotata di tutto l'armamentario rivoluzionario necessario: slogan, organizzazione del dissenso, e liturgie che comprendono il culto romantico dei martiri.

L'altra parte della borghesia, in linea di principio favorevole al regime, è la vecchia borghesia mercantile del bazar. Due annotazioni: il peso sociale della borghesia del bazar sta diminuendo in modo inesorabile, e gli interessi di questa parte della borghesia sono molto meno compatti rispetto ad un tempo, soprattutto se confrontati con la borghesia favorevole al movimento (i cui interessi invece rendono quella parte molto più compatta nell'avversione per il regime).

Molti "bazarì" ambiscono a vedere i propri figli diventare medici o ingegneri piuttosto che vederli entrare nei bassij. Un matrimonio tra la figlia di un ricco bazarì e un giovane medico di buona famiglia è spesso visto con favore più dal mercante che dai genitori del giovane medico... Sembra cioè che, in qualche modo, la borghesia conservatrice si stia "sbriciolando" in quella post-moderna, anche ideologicamente. Questo processo è irreversibile e dura da alcuni decenni.

Ne consegue che l'appoggio della borghesia del bazar al regime è decisamente infido. Esso continua fintanto che è garantita la stabilità politica ed economica, ma è proprio questa stabilità ad essere in crisi: viviamo in una condizione pre-bellica con l'estero, e di stato d'assedio interno. In più siamo nel pieno di una crisi economica mondiale i cui effetti lì sono assai più violenti e spesso si misurano in termini di calorie e proteine giornalmente assunte.

Ma, parlando di economia e di imprese, qual è il vero centro del potere economico in Iran, e quali sono i suoi collegamenti col regime?

In serata tradurrò un articolo della rivista web "Rahe Tudeh", legato al partito comunista iraniano. I comunisti avranno anche un sacco di difetti, e quelli iraniani ne hanno avuto di immensi. Ma quando si parla dei legami tra potere politico ed economia nessuno sa fare i conti come sanno fare i loro. Magari ai limiti della pedanteria, ma in queste cose bisogna essere chiari, pedanti, e soprattutto fastidiosi.

A dopo.

[1] Nota: qui e altrove per "regime" non intendo la Repubblica Islamica, ma quella sua parte che ambisce a trasformarla in una sorta di califfato militare.