lunedì 6 luglio 2009

Post ideologico numero 3 - seconda parte

Intanto un saluto al povero Sa'id Hajjarian. La moglie è stata convocata l'altro ieri dal procuratore-macellaio Mortazavi (che qualcuno ricorderà come responsabile della morte di Zahra Kazemi sotto interrogatorio nel 2003). Hajjarian si trova in gravissime condizioni fisiche e potrebbe non farcela. Per evitare che gli muoia in mano, hanno convocato la moglie per contrattare la sua liberazione.

Sa'id Hajjarian, di idee riformiste, è stato consigliere politico di Khatami nel 1997. Nel 1998 subì un attentato collegato ad una catena di omicidi politici: gli spararono in testa, però non morì. Il proiettile venne deviato dalle ossa del cranio e si conficcò nella spina dorsale, paralizzandolo. Fa molta fatica a parlare e si muove sulla sedia a rotelle. Soffre anche di forti dolori che vanno sedati. Il suo aggressore, Sa'id Asgar, reo confesso, è stato condannato a 15 anni, ma non ne fece più di un paio in carcere.

Hajjarian fu uno dei primi arrestati della repressione post-golpe. Insomma facendola breve sono riusciti nell'incredibile impresa di torturare quasi a morte un paraplegico. Parafrasando Tolstoi, le vittime sono sempre diverse, ma gli aguzzini sono tutti maiali alla stessa maniera.

Ma a noi qui interessa il pensiero di Hajjarian:

"Non si riesce a ricorrere contro le false accuse e chi le profferisce presso nessuna sede istituzionale. Non si riesce ad ottenere giustizia. Le massime istituzioni dello Stato considerano i propri avversari politici non come fratelli musulmani con idee diverse, ma come pagani in guerra contro Allah. E così si sentono in diritto di violare le leggi dello stato convinti persino di avere un premio nell'altra vita!"

(...)

"Una società etica si basa su tre pilastri: la reciproca empatia nel popolo nella felicità e nella sofferenza, un alto grado di autocoscienza delle masse, e la fiducia verso lo stato e le sue istituzioni. Tuttavia questa terza condizione è necessaria solo in una situazione in cui si parla di riforme, e non di rivoluzione. In una condizione rivoluzionaria la società etica si appoggia solo sui primi due pilastri"

Vi sono rivoluzioni che hanno come obiettivo la liberazione. Liberazione, ovviamente, non è la libertà, ma piuttosto è il processo rivoluzionario che potrebbe condurre alla libertà. Ma il concetto di libertà andrebbe definito. Lenin diceva che la libertà è "una parola imbrogliona". Quando si parla di libertà va sempre chiarito: libertà per chi? di fare cosa?


Nella misura in cui interessa a noi, che stiamo analizzando il movimento riformista iraniano, la liberazione va nella direzione di aprire spazi politici e sociali prima chiusi. I primi, chiusi dalla prassi politica e dalla struttura di potere. I secondi, chiusi dalla morale collettiva. Cioè il movimento verde si trova in questo momento nella condizione di collegare l'esigenza del quarantenne di vedersi democraticamente rappresentato, l'esigenza di un operaio di poter liberamente lottare per migliorare le sue condizioni contrattuali, e l'esigenza del ventenne di poter prendere un thé con la fidanzata senza che uno sbirro si senta in dovere di mettere becco nei suoi cazzi, e soprattutto senza che la società consideri vergognosa questa frequentazione.

Non sempre l'esigenza di aprire spazi sociali si è alleata con l'esigenza di aprire spazi politici. Ricordo cinque-sei anni fa un giovane blogger iraniano che si lamentava dei suoi zii, tutti impegnati politicamente e tutti rigorosamente democratici e riformisti, che gli dicevano "se tu credi che facciamo una rivoluzione perché tu e la tua ragazza possiate pomiciare per strada, ti sei sbagliato di grosso". Ricorda certi atteggiamenti della sinistra comunista italiana ed europea nei confronti della "rivoluzione dei costumi" nel 1968. I totem del PCI facevano molta fatica ad inquadrare cose come il situazionismo o il Rock.

Oggi in Iran, in questo movimento, sta avvenendo proprio questo: si sta tentando un'alleanza tra l'esigenza di una liberazione dei costumi, e quella di un maggiore spazio politico rappresentativo. I ragazzi di dieci anni fa sono diventati gli zii di oggi, e gli zii di allora, a loro spese, si stanno via via adeguando alla nuova morale.

La difficoltà che c'è a sinistra nel comprendere questo processo discende da una cultura della rivoluzione un po' limitata: la si considera "rivoluzionaria" solo quando essa si pone obiettivi di classe. In una certa ottica ciò è anche vero. Ma per comprendere ciò che sta accadendo in Iran è molto più proficuo studiare il maggio francese o la marce per i diritti civili negli USA, piuttosto che le rivoluzioni e le guerriglie del terzo mondo.

A dopo.

PS: un grazie agli U2 per avermi reso ancora più cara una delle mie canzoni preferite. A Teheran, come nel Bogside, gli aguzzini sono sempre maiali allo stesso modo.

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