sabato 27 giugno 2009

Di cosa SI tratta - post ideologico numero 3

"Temo il giorno che sarete chiusi in un palazzo con un gruppetto armato che vi difende, mentre il popolo fuori vi grida contro i suoi slogan" (Ruhullah Khomeini)

Avendo stabilito - un po' seriamente e un po' col sarcasmo - che in Iran non si sta vivendo un conflitto di classe, ma un conflitto tra due borghesie, vediamo ora di analizzare un pochino più a fondo la natura del movimento "verde" inquadrandolo tra i movimenti rivoluzionari e pre-rivoluzionari nella realtà culturale iraniana.

Prendo le mosse da un articolo di Slavoj Zizek, pubblicato su Carta (grazie ancora Nico) e letto oggi anche su Internazionale. Un ulteriore riferimento bibliografico necessario è il saggio "Shah-in-Shah" di Riszard Kapuscinski, edito in Italia dalla Feltrinelli nel 2001 (ISBN:8807015986).

Sarebbe poi bene conoscere un minimo di storia contemporanea dell'Iran a partire dal 1890, anno del "boicottaggio del tabacco" (تحریم تنباکو). Passando per la Rivoluzione Costituzionale (1905), colpo di stato e incoronazione di Reza Khan Pahlavì (1925), la nazionalizzazione del petrolio (1951), fino alla rivoluzione islamica (1979). Giusto per avere un'idea del fatto che si tratta di una nazione di teste di c... molto difficili da governare.

Interessante inoltre notare la cadenza grosso modo trentennale che scandisce il ritmo dei moti e delle crisi. Infine, caratteristica comune a tutti e tre i moti rivoluzionari iraniani del secolo scorso (escludo Reza Khan che in realtà fu il soffocamento della Rivoluzione Costituzionale), la decisiva partecipazione del clero sciita e comunque la forte componente religiosa.

Ho vissuto l'ultima di queste rivoluzioni in prima persona, anche se da ragazzino. Non posso fare a meno di notare come, per qualche motivo, gli storici di scuola marxista come Zizek e Kapuscinski riescono a comprendere meglio degli altri il "punto di non ritorno": quel punto in cui sparisce la paura dello stato. O, volendo essere pignolini, il momento in cui sparisce l'autorità.

Hannah Arendt, la sesta donna più importante della mia vita, in una breve raccolta di saggi traccia una distinzione molto netta tra autorità e coercizione: nel momento in cui diventa necessaria la coercizione, l'autorità è già diventata cibo per vermi. Lo posso confermare come padre: se arrivi alla sculacciata, l'autorità ha già fallito. Perché, se non avesse fallito, la sculacciata non sarebbe stata necessaria.

Il punto di non ritorno di una rivoluzione non è tanto la scomparsa della paura, ma piuttosto la perdita di autorità. Quando allo stato non rimane altro mezzo che la coercizione militare o poliziesca, non è più il popolo che vive in una prigione, è lo stato ad essere assediato nel suo palazzo da milioni di nemici. Oggi, in Iran, si sta nuovamente per toccare questo punto. La soluzione che avrà la crisi elettorale ed istituzionale potrà accelerare o ritardare la vera crisi.

Ma quella crisi inevitabilmente ci sarà, anzi in larga parte c'è già stata: qualunque nazione con 70 milioni di abitanti, dei quali 50 milioni sotto i 40 anni e 35 milioni sotto i 25, vive una fortissima crisi sociale e culturale con un alto grado di conflittualità generazionale. Basta pensare all'occidente negli anni '60.

Come dice una cara amica, il giovane, fintanto che vive a carico della famiglia, si trova in uno stato di alienazione. Vive cioè un conflitto reale dovuto al fatto che deve sottostare a un insieme di regole e valori, e ciò provoca in lui una reazione di forte opposizione.

E' chiaro che numero così elevato di singole conflittualità generazionali, se si accavalla con altre conflittualità di tipo più "classico" (come quella tra il salariato e il padrone o come quella tra due classi borghesi antagoniste) contiene un potenziale rivoluzionario elevatissimo. E questo potenziale si manifesta dapprima in un mutamento dei costumi popolari e della morale, cosa che in Iran è già avvenuta anche tra i giovani Bassij (causando ciò che ho precedentemente chiamato "baathizzazione" del regime islamico).

Un ultimo punto dell'articolo di Zizek è l'analisi dei moti di questi gironi come continuazione dellao spirito della rivoluzione islamica, in qualche modo "ibernato" per una trentina d'anni. Certamente c'è una riscoperta degli slogan, di certe modalità di lotta, e in generale di un forte senso di comunanza tra la gente. Ho notato che questo rivolgere gli slogan di Khomeini contro Khamenei e Ahmadinejad ha trovato una vasta approvazione persino tra gente per la quale Khomeini è Satana.

Va anche detto che tutti i moti rivoluzionari iraniani del secolo scorso hanno sempre mantenuto qualcosa dei moti precedenti. Mosaddegh si riteneva un legittimo continuatore della rivoluzione costituzionale, la rivoluzione islamica era una reincarnazione di quell'orgoglio nazionale che era alla base del premierato di Mosaddegh 25 anni prima...

In effetti dalla coalizione tra le forze liberali, socialdemocratiche e clericali nacque - nel 1979 - una specie di costituzione ibrida, in parte fortemente democratica, e in parte inibita dal ruolo istituzionalmente riconosciuto al clero in varie posizioni chiave. Le uniche formazioni politiche che, pur partecipando attivamente alla rivoluzione islamica, non hanno lasciato alcun segno nella costituzione iraniana, sono quelle marxiste. Anche questo deve far pensare a lungo, prima di affibbiare a una delle due parti oggi in conflitto il ruolo di paladino del proletariato.

Riassumendo: la "auctoritas" del regime islamico è in gravissima crisi sotto un duplice attacco. Da una parte una numerosissima popolazione giovane e autocosciente che - giustamente - ha l'obiettivo nemmeno tanto celato di mandare in pensione i vecchi e i loro valori morali ormai del tutto privi di attrattiva. Dall'altra il conflitto tra la borghesia liberale e quella conservatrice di cui abbiamo già detto. Tutto questo è già di per una rivoluzione.

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